Due domande su romanzi, editoria e distribuzione 

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Hai pubblicato due romanzi. Quali sono le tue impressioni maturate dopo queste esperienze?

Innanzitutto, credo sia davvero dura sopravvivere come autore emergente in un panorama, parlo del mondo della piccola editoria, senza limiti. C’è di tutto. Dall’autore bravo e intellettualmente preparato, allo sprovveduto che pretende di vendere i libri che porta nella sua sacca. Magari sbagliando congiuntivi qua e là. Tante proposte e pochissime possibilità di farsi leggere davvero. Il problema forse più grande è lo scetticismo dei circuiti accreditati alla letteratura: le librerie, in primo luogo. Tranne per alcuni casi, tendono a non dar spazio ad autori di cui sa poco niente. Per carità, visti i soggetti che circolano in questo ambiente, posso capirli. In realtà mi vien da dire che fanno di tutta l’erba, un fascio. Ci sono molti piccoli editori che lavorano bene, ma che vengono di fatto tagliati fuori dal mercato. Così, un autore è costretto a far leva sui conoscenti per “spingere il prodotto”. Ma quasi sempre tutto finisce lì.

Quindi, i limiti ci sono?

I limiti sono dettati dai grandi distributori che spesso prendono percentuali da usura. E che, per fare un esempio, escludono dai circuiti Feltrinelli e Mondadori, ovvero la gran parte delle librerie. È un sistema in cui possono sopravvivere solo i colossi dell’editoria. Un piccolo editore non può reggere quella concorrenza. In giro vedo sempre i soliti personaggi girare per tutte le librerie d’Italia, le stesse, molte anche indipendenti, che a un autore sconosciuto dicono di avere il calendario pieno, o che semplicemente  che rimandano un incontro anche per anni. Quando rispondono, ovviamente.

Esiste una soluzione possibile, secondo te?

Non lo so. Mi chiedo solo se abbia senso che vengano pubblicati così tanti libri a cui nessuno può garantire visibilità, quindi di esistere. Lo sapete, ho seguito per molti anni la musica indipendente e so quanto possa essere frustrante trovare davanti al palco ad ascoltare solo qualche amico, magari pure un po’ annoiato. Dopo aver magari provato la nuova canzone per mesi. Beh, la stessa sensazione vale per un libro. Tornando a noi, ormai sono un po’ di anni che frequento questo ambiente e mi sono fatto le mie idee. E credo sia giusto e doveroso parlarne, anche se molti sono convinti che si debba sempre raccontare un mondo positivo. A me piace parlare della verità. Bella o brutta che sia.

Mi ero perso

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Mi ero perso.
Perché scrivere ti porta altrove.
E, alla fine, ci credi.
Che quel ruolo ti spetti.
Resti solo.
Con le mani strette sul volante.
E davanti, un teatro buio. Senza riflettori.
E la puoi toccare, la solitudine.
Ma è un vuoto apparente.
Apparire, ti può far sparire.
La pioggia sul parabrezza.
Fermo a un lato della strada.
Il mio sguardo nello specchietto.
Un dolore nel petto.
E l’ho capito allora.
Che mi ero perso.

La beata ignoranza di un menestrello 

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La mia non è poesia, né narrativa. Non è racconto, prosa, beata ignoranza di un menestrello. Non è alibi perfetto per chi spaccia rabbia. Anima astuta e veleno. Non è  parola, né mestiere. Storia lasciata a macerare, perché l’emozione sopravviva. Non l’inganno che ti fa voltare pagina. L’incanto di una donna, che muore per sentirsi viva. Lo svelare l’arcano, il piano oscuro, dietro le quinte di un tradimento. Non è il rimpianto. Il mio è un travestimento, che mi arma da carnefice, con la favola candida di un bambino. La mia non è poesia, né la mia natura schiva. Ma sono io, immerso nelle mie sfumature d’avanspettacolo. 

Deserto Luna Park

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Guarda.

C’è un tempo in cui tutto si ferma.
Come una giostra che all’improvviso smette di giocare.
Senti.
C’è odore di bruciato.
E ci hanno dimenticati.
Il mondo gira sempre più veloce.
E i sogni sono gettoni.
Le luci del luna park, risplendono ancora.
Ma, ascolta.
Tutto è silenzioso.
E se fai attenzione, puoi sentirlo.
Il rumore di chi conta quei gettoni.

Scucito 

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Scucito,

Il bordo del vestito.
Perché nudi, qui.
Non siamo che niente.
Una croce, una stella.
Un simbolo di pace,
al contrario.
Resta la pelle,
aggrenzita.
Il segno marcio,
delle notti insonni.
Cosa può coprirmi davvero,
se non la vergogna.
L’odore dell’aria,
viziata. Della vita.
Dell’urina.
Nessuno specchio,
saprà chi sono.
Nessuno di loro,
otterrà perdono.
In dono, la mia anima
E questo vestito,
scucito.

Metafore calcistiche

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Uso spesso metafore legate al calcio, questo perché si tratta di uno sport in cui è fondamentale gestire la gara, le energie, le emozioni e la determinazione. Capita però momenti in cui le cose proprio non funzionano. Dinamiche di squadra che non funzionano, meccanismi che si attivano. A volte non c’è un vero perché. O forse ce ne sono tanti. Personalmente ho smesso di seguire il calcio quando mi sono resto conto che dietro c’era un mondo sporco. Da allora sono cambiati alcuni equilibrio, ma noto con dispiacere che quando tutto cambia è proprio perché non cambi assolutamente nulla. Ognuno ci legga quello che vuole, ma i nomi che sento girare negli ultimi giorni sono più o meno gli stessi di venti anni fa. Un po’ come in politica.

Perché questa scelta narrativa? #LaMacchinadelSilenzio 

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Nel tuo romanzo la narrazione è serrata, i luoghi e le scene si rincorrono a una velocità sfrenata. I personaggi sembrano anch’essi vittime di questo vortice. Cosa ti ha spinto a questa scelta narrativa?

Lo stile narrativo è sempre una scelta. Questa è una storia moderna, che vuole e che deve affacciarsi al futuro. E il mondo in cui viviamo e in cui ragionevolmente vivranno i nostri figli sarà sempre più maledettamente veloce. Nel raccontare uno scenario simile è inevitabile fare affidamento a una narrazione che metta in scena l’ansia che abbiamo, quasi di voler combattere il tempo. Governarlo, prima che sia troppo tardi. Lo schema narrativo è quello cinematografico, in particolar modo utilizzato nelle fiction d’azione  di nuova generazione, per citarne qualcuna: #Personofinterest, #Blindspot, #TheBlacklist e potrei andare avanti per ore. Ho cercato di unire le tecniche comunicative della rete con la narrativa. Due mondi che sembrano lontani, ma che non lo sono affatto.

#LaMacchinadelSilenzio