Il suono di un nome

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Il camioncino aveva portato via le ultime cose.
Lo stabilimento balneare, per come lo ricordava, ormai non esisteva più.
Percorse il tragitto che dall’ingresso conduceva verso la spiaggia.
Dove per decenni c’erano stati i suoi ombrelloni, c’era solo sabbia e l’odore del vento di autunno.
Il vento sembrava quasi riportare il ricordo del vociare dei bambini, degli amori nati e finiti velocemente.
Si voltò verso i vecchi locali prefabbricati, per anni adibiti a cabine e spogliatoi. Le porte in legno, ormai logoro, che avevano visto passare le storie di migliaia di bagnanti.
A ricordarle ciò che stava per diventare passato, una barchetta che riposava a poca distanza dalla battigia.
Suo marito, quella barca, l’aveva amata tanto. A tal punto da assumersi la gestione dello stabilimento, attivitá che lei aveva ereditato da suo padre.
Ben presto quello che sembrava un salto nel buio si era tramutato in un vortice fallimentare. Lui aveva presto litigato con il personale storico dello stabilimento. Si era convinto che sarebbe riuscito a immettere personale giovane e più moderno. Ma i nuovi arrivati non c’entravano niente con quella realtà.
A nulla erano valsi i rimproveri, le minacce di licenziamento.
Dopo due anni, nessuno voleva più lavorare nello stabilimento.
Pian piano i vecchi clienti si erano trasferiti altrove.
Ora si rendeva conto che il silenzio che stava ascoltando, era iniziato molto tempo prima.
La barchetta era immersa nella sabbia, alzata dal vento che proveniva dal mare.
Si chiuse meglio il giubbotto per difendersi dal vento, o forse da quei ricordi, ormai troppo pungenti.
Ripensó a suo padre. A quando da bambina l’aveva lasciata scorrazzare per lo stabilimento. Alle prime esperienze lavorative, quando alla cassa assegnava gli ombrelloni disponibili, sotto l’occhio vigile del nonno, che a sua volta aveva gestito quello stabilimento.
Chissà cosa avrebbe pensato di lei, che aveva lasciato naufragare tutto, così, nel silenzio.
Si chiese se davvero fosse colpa sua. Forse l’errore era stato non vendere prima ai diretti concorrenti.
Forse l’errore era stato amare Carlo, il suo ex marito che un giorno aveva candidamente ammesso di essersi innamorato della signora che dava una mano a pulire lo stabilimento. E che con la stessa serenità aveva comunicato che sarebbe andato a vivere con lei.
Lanciò un ultimo sguardo a quella barchetta, sapendo che sarebbe stata l’ultima volta. Sperando, poi, di ricominciare a vivere.
Il nome della barca era stato quasi del tutto cancellato dalla fiancata. Il nome che suo padre le aveva dato: Romanza.

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Cosa intendete per famiglia?

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Famiglia. Famiglia.
Ok, ma cosa intendete per famiglia?
Come sempre siamo in campagna elettorale e come sempre vengono somministrate tonnellate di luoghi comuni, di cui la maggior parte di noi non ricorda nemmeno la genesi.
E allora partiamo da qui.
Storicamente il concetto di famiglia ci viene propinato come mamma, papà e tanti figli. E fin qui spiegata la sintesi generale e populista utilizzata dalla maggior parte dei candidati.
Solo che in questi secoli la dinamica della “famiglia” è cambiata. O meglio si è integrata con tutti i dogmi vietati per secoli dalla Chiesa. Ebbene sì, da una filosofia religiosa millenaria, che a sua volta ha subito mutazioni per stare dietro alla fuga dei fedeli, i quali non credono più alle cieche minacce demoniache.
Quindi oggi il concetto di famiglia è ampliabile a diverse realtà. Uomo single con figli. Donna single con figli. Uomo, uomo. Donna, donna. E via discorrendo.
Per cui è facile generalizzare che il concetto storico di famiglia prevedeva un uomo che va a cacciare (lavorare  nei tempi relativamente più recenti) e la donna annullava se stessa per acudire anche decine di figli. E parliamo di figli, allora.
Si parla spesso di denatalitá. Mai delle cause.
Una è derivata da un fattore determinante. Le donne lavorano, per cui non è più riproponibile il modello storico di cui sopra. È impossibile prendersi cura di decine di bambini, lavorando. I servizi di sostegno sono scarsi o, peggio, fruibili solo per fasce di reddito alte. Ma c’è un altro fattore importante. Nella nostra società nessuno vuole rinunciare ai propri interessi per annullarsi per crescere più figli.
Un altro fattore ancora.
Storicamente i figli venivano messi al mondo per un motivo. Creare forza lavoro. Oggi lo stesso fattore non è cambiato, perché in prospettiva mancheranno lavoratori per pagare le prossime pensioni. Risulta evidente che coniugare le due cose sia a oggi impensabile.
A colmare la lacuna può esserci l’immigrazione.
E torniamo alla campagna elettorale di cui sopra, la stessa morale che porta a idolatrare la famiglia storica, vorrebbe bloccare con tutti i mezzi l’immigrazione.
Al netto che esiste immigrazione regolare e clandestina e su cui occorrerebbe fare un discorso a parte, questo tema genera contrapposizioni che vanno a fondersi, anche in questo caso, con una storia recente che ha fatto del razzismo, una bandiera. La stessa morale che non riconoscerebbe nemmeno una famiglia formata da soggetti con etnia diversa.
Torniamo quindi al questito iniziale: cosa intendete per famiglia?

Perché è l’amore che è così.

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Ersilia aveva amato quell’uomo in silenzio.
Aveva atteso per anni che si accorgesse di lei.
E forse aveva sperato che abbandonasse la sua vita per stare con lei.
Ora Ersilia ascoltava il suono delle onde che si infrangevano sulla battigia.
Lo sapeva, ormai, che a ogni centimetro conquistato con lui, sarebbe corrisposto un vortice di solitudine in cui si sarebbe sentita rinchiusa, come su un’isola lontana e deserta.
Lui diceva che é l’amore che è così.
Che vince chi è più forte.
Ersilia, però, ora si sentiva stanca.
Quella forza, lei, probabilmente non ce l’aveva.
Fece un passo in direzione delle onde.
Si fece forza, poi ne fece ancora.
Si fermò soltanto quando l’acqua le raggiunse la gola.
Poi, si lasciò andare.
E tornò a nuotare.
Sentì che il suo corpo era tornato libero.
Non importava quanto ci avrebbe messo per dimenticare.
Ora sapeva che ci sarebbe riuscita.
Perché l’amore è così, pensò.
Vince chi è più forte, di chi pensa di esserlo.

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Devi scavare più a fondo

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Devi scavare più a fondo, se vuoi tornare a scrivere.
Le parole le hai.
Lo sai che sono nascoste da qualche parte.
Ma se non ci credi tu, non ci crederà nessun altro.
Prova con la musica, c’è sempre quella nota, amara, a volte, che fa scattare qualcosa. Che apre quella porta, che conduce alle parole.
Ma puoi anche scegliere di lasciarle dove sono, di difenderle da tutto e da tutti. Non ci sarà nulla di male, perché sarà come difendere te stesso.
Ma se vuoi tornare a scrivere, dovrai rischiare.
Dovrai sfidare gli sguardi di chi ti dirà di lasciar perdere.
E, talvolta, potresti trovarti a essere d’accordo con loro.
Intanto, tu scava.
Cercale.
Guardale.
Se anche se solo una di quelle parole entrerà in assonanza con quella nota, tu non potrai più farci niente.
Avrai le mani sporche di terra, gli occhi lucidi.
E avrai una sola certezza.
Saprai che tutto sarà ricominciato da capo.

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Le nostre storie

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Dal punto di vista letterario con questo Salone si é conclusa un’era.
Credo sia arrivato il momento di sperimentare altre strade e di ritrovare quell’entusiasmo che si è via via logorato.
Ho visitato questi ultimi due Saloni come “esterno”.
E a volte serve osservare le cose da un’altro punto di vista.
Il problema è che dopo si rischia di vedere meglio il quadro generale delle cose.
Ed è quello che è accaduto.
Proprio per questo motivo già da tempo ho iniziato a rimettere in discussione un po’ di cose, a partire da me stesso, lavorando sulle tecniche narrative e stilistiche.
Questo perché è essenziale migliorarsi.
Questo è un mondo che non fa sconti.
Un mondo in cui oggi sei sotto i riflettori, domani nessuno si ricorderà nemmeno il tuo nome.
E questa è, in fondo, una triste verità, ma è così poi in tutti i settori.
Siamo nomi, numeri, realtà intercambiabili.
Ma sapete? Io non credo che sia così.
Siamo storie uniche.
Storie che vanno raccontate.
Perché quei personaggi siamo proprio noi.
Noi che sogniamo ancora.
Noi che abbiamo paura di sbagliare.
Noi che ci vergogniamo di noi stessi.
Noi che nascondiamo lacrime e disillusioni.
Ma siamo anche noi che non ci arrendiamo.
Noi che sappiamo guardarci negli occhi, nonostante tutto.
Noi che sappiamo rialzarci sempre.
Noi che conosciamo bene il peso delle nostre parole.
E delle nostre storie.
Noi che se diciamo che si é chiusa un’era è perché sappiamo che se ne è appena aperta un’altra.

Il dovere di comprendere

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La guerra in Ucraina è una sovrapposizione degli effetti di tantissimi temi, intrecci internazionali, interessi economici, politici, storici e culturali. L’ottica della polarizzazione porta all’estrema semplificazione dei problemi, portanto una tesi contro un’altra, mentre la complessità della situazione è tale da riguardare forse centinaia di tesi contemporaneamente.
Per questo penso sia impossibile affrontare una questione simile come una banale discussione da bar.
Penso sia impensabile una semplificazione, anche perché non possediamo sufficienti informazioni e competenze per comprendere un sistema di pesi e contrappesi, in cui l’equilibrio è determinante per il futuro stesso di tutti i mondi che sono coinvolti.
Ognuno ha diritti alla sua opinione, ma penso sia necessaria l’onestà intellettuale di accettare che non tutto possa essere compreso e discusso come se fosse una partita di calcio.
Sarebbe utile discutere per capire quello che sta accadendo. Per porsi domande, per cercare risposte.
Per approfondire ciò che non sappiamo.
Questa è una fase storica delicata.
Ed è un compito di tutti noi quello di provare comprendere e allontanarci una volta tanto dalle nostre stesse convinzioni.

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Schemi ricorrenti

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C’è tanta comunicazione nel nostro mondo.

Eppure, la comunicazione stessa è spesso vuota.

Pensate alla maggior parte degli influencer.

Aprono un canale.Costruiscono una “community” (un pubblico) proponendo qualche contenuto (un contributo che dovrebbe avere una qualche utilità);

Poi, quando il numero di followers (gente che segue quel canale) è congruo, propongono un prodotto. Che sia un libro, un videocorso, una conferenza, sfruttando un classico meccanismo che all’inizio funziona, ma all’ennesimo “ciao” propinato con toni eccessivamente “confidenziali” lo schema viene irrimediabilmente a galla.

Fare comunicazione non è affatto facile.

E dubito possa farlo chiunque.

Il meccanismo del marketing presenta dei tratti “classici” che puntano sulla vulnerabilità di un target (sempre il pubblico di prima).

Ok, ok, non si può dire.

Ma tra i Content Creator (creatori di contenuto) si cela ormai di tutto.

C’è chi vuole leggere per noi e dirci il finale perché siamo troppo pigri.

Chi vuole illustrarci cosa mangiare, bere, fumare.

Come reagire ai problemi della vita.

Alcuni si inerpicano anche nel volerci dire come pensare.

Sfatiamo un mito, non solo comunicare non è facile, ma costruire contenuti è faticoso, sia in termini tecnici, sia di tempo.

Ci vogliono capacità e investimenti.

E come attività che si rispetti, servono introiti per finanziare l’attività stessa.

Ma allora, parliamo di folgorati sulla via di Damasco della divulgazione culturale o di attività commerciali sotto mentite spoglie?

Difficile dirlo.

Complice la deregolamentazione, i Social possono trarne ampi margini sfruttando gli advertising (la pubblicità), così da alimentare una catena che nasce come intrattenimento, ma è altro.I

n un confine sempre più confuso è necessario prestare attenzione a schemi e meccanismi della rete, anche in ottica delle prossime novità, che poi novità non sono, come metaverso ed Nft.

Ma ne parleremo.

Immagine tratta dalla rete.

La distruzione del pensiero

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La polarizzazione distrugge ogni forma di pensiero.

Lacera ogni forma di moderazione.

Spinge ogni concetto verso l’estremismo, il che non è mai un bene.

La guerra e la pace sono le due facce di una stessa moneta, che resta faticosamente in equilibrio.

Questo perché la storia è ciclica.

E perché racconta sempre una sola parte di una sola delle tante verità.

Ci sono le idee.I punti di vista.E la cronaca di una realtà.

Negarne gli effetti sarebbe un grande errore.

Osservare dovrebbe servire a riflettere.

Per farlo non è sempre sinonimo di schierarsi, ma di comprensione dell’evento stesso.

Fino ad arrivare alle cause.

Questo per dire che nel conflitto in Ucraina ci sono tanti fattori: la storia, l’economia, i legami, la politica, la geopolitica, la geografia e potrei andare ancora avanti.

Io non credo si possa essere contemporaneamente esperti in tutte queste discipline.

E non lo penso nemmeno dei luminari che ogni giorno riempiono i palinsesti televisivi.

Pertanto penso che non ci sia niente di male nel sentirsi in difficoltà nel capire questi fenomeni.

E che, essendo per natura complessi, non possano essere magicamente semplificati da santoni da salotto.

Holodomor, la strage degli innocenti uccisi dalla fame in Ucraina

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Di questa parte della storia non ne parla quasi nessuno, tanto meno Putin. Eppure questa è una delle motivazioni che stanno spingendo il popolo ucraino a resistere e a non credere alle promesse del dittatore russo.
Sono sincero, non conoscevo questa parte della storia, sui miei libri di storia non c’era, ma non c’era nemmeno quella dei Gulag. L’ho scoperta per caso, in radio, grazie a una citazione di uno dei giornalisti che i quali ho maggiore stima Davide Giacalone, che ringrazio.

Lascio il link di un articolo di Focus che la racconta.
Approfondiró, considerato che esistono diversi romanzi sul tema, che ai tempi furono censurati dal regime.

Holodomor, la strage degli innocenti uccisi dalla fame in Ucraina

Ogni anno, il 23 novembre, si ricorda l’Holodomor, la carestia provocata dall’URSS di Stalin che colpì l’Ucraina tra il 1932 e il 1933, causando milioni di morti.

https://www.google.com/amp/s/www.focus.it/amp/cultura/storia/Holodomor-genocidio-carestia-ucraina