Il silenzio e il fuoco

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Ho socchiuso la porta per non sentire ancora rumore. Avevo bisogno di guardarmi dentro e capire cosa era rimasto di tutti quei sogni, quelle speranze. Quelle illusioni. Mi sono fermato davanti a una mia immagine riflessa nello specchio e mi sono visto diverso, spento. Quando mi guardo intorno vedo e sento la resa incondizionata di una generazione. Quando guardo dentro i miei occhi la sento crescere, inarrestabile. Se ripenso al passato, so di aver lottato contro tutto, tutti e soprattutto contro me stesso, perché nulla avesse la meglio sulla volontà di resistere. Bella parola “resistere”, ma resistere a cosa. A chi? Ci sono giorni in cui tutto sembra impossibile e altri in cui è impossibile. Il dovere di chi scrive è continuare ad alimentare la fiamma, soprattutto quando intorno inizia a soffiare un vento di tempesta e il cielo diventa improvvisamente scuro. Questo è il messaggio che stanotte mi va di comunicare: fino all’ultimo respiro.

Quando mi sentirai in silenzio, non temere. Sarò lontano a cercare ancora legna da ardere, perché quel fuoco non si spenga mai.

Foto candela: Simona Vacchieri

Recensione romanzo “1Q84” di Murakami Hakuri

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Il romanzo “1Q84” dell’autore giapponese Murakami Hakuri è ipnotico, a tratti mistico. L’architettura della trama è complessa, intricata e attraente. Tuttavia il libro non è così facile da leggere, o meglio, potrebbe non piacere a tutti. Forse a causa della cultura giapponese o per scelta stilistica dell’autore, la narrazione contiene molti punti in cui l’autore ripete concetti, descrivendoli e approfondendoli sin nei minimi particolari. La forza della storia riesce però a calamitare l’attenzione del lettore, anche grazie alle figure forti dei personaggi come Tengo, Fukaeri e Aomane, tutti con caratteristiche particolari e molto ricercate. Tutto inizia con la scelta dell’editor Komatsu di pubblicare la bozza di un libro della giovane scrittrice Fukaeri. Per farlo chiede aiuto a Tengo per riscriverlo. Ben presto quella bozza diventa un romanzo vero. Un romanzo che nasconde un mondo. C’è intensità e profondità nelle parole dell’autore, che scava nella psiche dei personaggi e del lettore, fino a raggiungere un punto sconosciuto e indecifrabile. Leggendo questo libro si percepisce l’inquietudine e la tensione nascosta tra le parole, che avvicinano e allontanano dal succo della storia, facendo assaporare a volte piccoli assaggi, a volte bocconi un po’ più grandi, il tutto con un equilibrio maniacale. La tecnica di Murakami non rende “1Q84” un libro facile, ma stimola l’interesse del lettore che vuole capire cosa nasconde questa bella storia. Questo romanzo, edito da Einaudi, comprende il primo e il secondo libro ed è prevista l’uscita del terzo prossimamente. In Giappone i tre libri sono stati pubblicati in un unico romanzo, tuttavia la struttura dei primi due permette di entrare nella storia e garantiscono un finale ugualmente intrigante, tuttavia l’interesse per la terza parte c’è e non si potrà fare a meno di leggerla.

Svanita è l’immagine

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Non c’è oscurità,

né alcuna breccia di luna,

tra le pareti oscene

di questo locale buio

C’è il nome di una donna

e il verso di una bestia.

C’è consapevolezza.

E inganno.

La vergogna è sopita,

tra cumuli di arroganza.

Svanita l’immagine

Tradita la speranza

Non c’è vento stasera.

E piove.

Il distacco delle cose

È il piacere assoluto

Senza poesie e prose

Che hanno un sapore strano

Legato alla notte.

Alla storia.

Come l’idiozia,

l’armare l’inquietudine

e Ferirla ancora,

nella brama di dormire.

Questo rumore mi uccide,

come questo parlarsi addosso

Ho bisogno di silenzio.

Vorrei fuggire e non posso

 

Chiamano il mio nome:

sono il prossimo.

C’è freddo stanotte.

Ho i brividi.

Traiettorie

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Ai lati degli occhi

Come sbavature leggere

E colori che si rincorrono

Essere, quando si perdono

Ingannarsi, quando si spera

E il vento si raccoglie

E coglie l’incanto del mare

Era il senso delle cose

Quando finisce di piovere

Novità e pericolose stelle

Che nulla han da perdere

Ai bordi del sole

Ci sono raggi sfuggenti

E donne sole piangono

Per le paure ricorrenti

Traiettorie che infrangono

Onde sul selciato del presente

L’inganno

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Futili come pensieri che aleggiano nella mente. Inevitabili, come il naufragio delle stelle. Sono i percorsi della vita, quelli che dimentichiamo al bar come un mazzo di chiavi qualunque. E spesso capita di pensare a come tutto sia così fragile, aleatorio. Quanti progetti facciamo, convinti che tutto sia eterno, che non ci sia una fine. Poi ti accorgi che una persona svanisce, e qualcosa dentro di te cambia. Ti rendi conto che non c’è sempre una seconda pagina del libro, non c’è sempre il finale che vorresti. Si vorrebbe imparare a vivere la vita, istante per istante, eppure navighiamo in mari e oceani di “vorrei”, “se”, “ma” e così perdiamo tempo. Tempo prezioso.  Rinviamo i momenti e nascondiamo quello che vorremmo dire. E’ come quando ti viene in mente una poesia, una canzone, ma non hai voglia di scriverla, così la dimentichi. La ignori. E lei svanisce, come svanisce una persona, così, in un attimo. Ci sono mali che non sappiamo combattere, questa è la verità. La nostra arroganza ci spinge a sentirci immortali, ma non lo siamo. Perché è di questo che parliamo, le parole poetiche ci aiutano a dire tante cose, ma così facendo le celiamo dietro a distese di spighe di grano. Ci inganniamo. E lo facciamo tutti i giorni, illusi dalle nostre parole, dai nostri sogni. Torno a scrivere quando sento un formicolio dentro, qualcosa che vuole uscire e resto in silenzio quando il groviglio di parole che riecheggiano nell’etere mi fa venire male alle orecchie e finisce per stordirmi. Ma anche nei silenzi ci sono delle verità e delle emozioni, perché tante volte si parla a sproposito, si urla e si dimentica di quello che è davvero importante: nessuno svanisce mai davvero. Ed è proprio quando tutto sembra cadere sotto i colpi inesorabili del tempo, quando la partita sembra impossibile da vincere, che bisogna attaccare. Ribaltare il risultato e nel farlo, godersi la partita, uscire dal campo tra gli applausi del pubblico. Anche se hai perso. E quella non sarà mai una sconfitta, sarà la vita.

Recensione romanzo “Agent 6” di Tom Rob Smith

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Il terzo capitolo della trilogia ideata da Tom Rob Smith “Agent 6” si differenzia molto dai due romanzi precedenti “Bambino 44”“Il Rapporto Segreto”. Il protagonista è ancora una volta Leo Deminov, personaggio complesso, articolato ed enigmatico. Tutto inizia con l’organizzazione del concerto della pace, organizzato a New York dalla moglie di Leo, Raisa, e al quale parteciperanno le due figlie Elena e Zoja. Complicazioni burocratiche impediranno a Leo di partecipare alla manifestazione. L’evento nasce per migliorare i rapporti tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica nel bel mezzo della guerra fredda, ma si trasforma in un intrigo internazionale, in cui spie e personaggi ambigui diventano la chiave dell’enigma contro il quale Leo dovrà confrontarsi: chi è Agent 6? Chi è colui che ha distrutto ciò che amava di più al mondo? Leo deve affrontare forse la peggiore delle sfide, ritrovare se stesso, salvare la sua famiglia e vendicarsi. Per farlo dovrà raggiungere gli Stati Uniti, cosa molto difficile per un ex agente del Kgb. Per farlo sarà disposto a fare ogni cosa, anche a ritornare a essere un agente del Kgb.

“Agent 6” è un romanzo introspettivo, che non rinunciare all’azione e alla sfida, il tutto costruito egregiamente, con un’ambientazione storica ben studiata e ricca di particolari. Il finale di questa storia chiude la trilogia nel miglior modo possibile, regalando l’emozione che ogni lettore cerca in un libro. La scrittura veloce e dinamica dell’autore si rivela azzeccata anche in questo nuovo lavoro, che a tratti risulta però più lenta, ma è lecito quando si deve affrontare una crisi interiore, che distrugge dentro il personaggio e ciò in cui crede. La bella moglie Raisa svolge un ruolo chiave nella trilogia di Leo Deminov, così come lo sono le due figlie Elena e Zoja, che mettono a nudo la vera anima del protagonista che, anche in questo caso, si rivela un eroe imperfetto e umano. Un libro da leggere, così come i primi due romanzi di Tom Rob Smith.

Ferite d’orgoglio

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Le vele gelate

pure immagini di una tormenta

vele svanite

veste di donna che s’addormenta

Le ossa incantate

gesta divine dimenticate nel vino

Istinto e rancore

Istinto è rancore mai dimenticato

Spaventarsi

Perdersi e rinsavirsi senza colpo ferire

Ferite l’orgoglio

L’ultima volta

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Hanno portato via tutto

le scorte per una vita intera

il lutto, e delusa è la stella

e la sera? Raccoglie imbrogli

Ne cogli il profumo?

C’è umidità stanotte

e quante domande;

Parlavo alla luna

Dimmi tu il perchè.

Senza lode ne infamia

Incantarsi, incontrarsi

Scontrarsi per capirsi

hanno portato via tutto

dai banchi dell’essere

Sta per piovere ancora

Sta per piovere

L’ultima volta

Recensione “Ciò che non posso avere” di Barbara Gobbi

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Il disco “Ciò che non posso avere” di Barbara Gobbi è ricco di spunti interessanti. I pezzi suonano come un rock melodico, aggressivo e suadente. Sin dalla prima canzone “Abban(dono)” si sente una decisione in uno stile dolcemente duro. In “Di passi neanche l’ombra” emerge una forte malinconia che si presta a un’accusa amaramente urlata.”Certezze e cemento” è una ballata con un ritmo intenso, un testo riflessivo e coinvolgente, mentre “Afa circonda” esprime un’ottima musicalità ben miscelata a un testo introspettivo e particolare. Un’istantanea sul ruolo di una donna di successo è ben dipinta in “Donna manager”, anche in questo caso su sonorità rock. “Intrigante” è il titolo che descrive la metrica di questa canzone nel suono delle chitarre e nel ritmo che esplode con un’amarezza a tratti contorta ma sempre forte e decisa. Come un inno contro l’ipocrisia si erge “Le tue maschere” sempre semplice nella tua complessità e senza cadere mai nel banale. “Il mio bell’attimo” possiede una bella melodia che si sposa con un ritornello accattivante. E’ acqua che si adegua “In sostanza”, potente e scatenata come l’onda travolgente. In “La lieta notizia” si sente una piccola influenza di Carmen Consoli (ma si sente anche in altri pezzi) in un’interpretazione anche in questo caso duramente insolente. Questo disco rappresenta un buon lavoro, testi semplici e melodie attraenti sono gli ingredienti della ricetta musicale di Barbara Gobbi,  sperando di poter sentire ancora parlare di lei in un prossimo futuro. Un bel disco.

Punizione divina

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Signor giudice, voglio raccontarle la verità. Sono un infermiere e già dal primo prelievo di sangue ho capito quanto godessi nel farlo. Mi eccitavano quei vasetti pieni di vita, solo a guardarli. Ma gl’incubi sono iniziati quando ho letto quel libro. La notte mi svegliavo sudato, urlavo. Vedevo fiumi di sangue che scorrevano di notte, e di giorno vedevo rosso ovunque. Giudice, è pericoloso quel libro! È lì che ho capito quale sarebbe stata la mia missione. Una ragazza conosciuta in un bar fu la prima a essere immolata per il mio sublime piano. Una volta a casa deposi quel corpo caldo nella vasca. Giudice, non immagina come un corpo deperisca, istante dopo istante, fino a diventare bluaceo. Dopo un’ora era smunta. Sa quanto sangue c’è in un essere umano? L’otto per cento del peso corporeo. Me ne serviva tanto. Qual è colui che suo dannaggio sogna, che sognando desidera sognare, sì che quel ch’è, come non fosse, agogna?  E’ vero, non avete mai trovato i corpi. Le dirò dove sono: in una fabbrica abbandonata, nell’ex sala macchine, ci sono le botole dei pozzi che portavano acqua alle vasche; sono lì, potete controllare. La cella frigorifera dell’ex sala mensa divenne il mio deposito. Volevo creare il mio gioiello, e lavorai notte e giorno. Non sa quanto sia stato emozionante vederlo all’opera. Scelsi la mia prima vittima nel quartiere più degradato della città, frequentato solo da balordi e violenti. Dopo qualche ora quel bastardo si risvegliò appeso per le braccia a un cavo d’acciaio. Calai lentamente il suo corpo con l’argano, lungo la proda del bollor vermiglio, dove i bolliti facieno alte strida.

Il suo urlo riecheggiava nella sala mentre il bruciore lo assaliva, prima ai piedi, poi le cosce, fino al pube. Non riuscivo a trattenere la mia eccitazione quando il fiume di sangue fumante lo inghiottì. La divina giustizia di qua punge, quell’Attila che fu flagello in terra e Pirro e Sesto; e in etterno munge. Conosce l’Inferno, Giudice?