Puoi anche sbagliare strada

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Puoi anche sbagliare strada, ma questo non vuol necessariamente dire che sia perso. Questo posso dirlo ora, ma quando mi sono trovato in mezzo a tornanti sconosciuti, con carte che non riuscivo a leggere, non riuscivo proprio a vedere la situazione nello stesso modo. Forse dipende dal punto di vista. Quando parti e non sai bene dove stai andando e tanto meno perché lo stai facendo, ad accompagnarti c’è l’incoscienza, quella sensazione di assurda sicurezza di qualcosa che nemmeno conosci. In quel momento la strada da percorrere è un mezzo per scoprire chi sei. Lo capirai dopo, che grandi davvero forse non lo si diventa mai davvero. Ma lì per lì ha bisogno di andare. E di ritrovarti in mezzo a quei tornanti, solo, senza saper dove andare. Perché, dopo quell’attimo di doveroso sconforto, forse anche paura, arriverà il momento di lucidità e riprenderai la strada, magari chiederai, forse la troverai da solo. Ma di certo quello non vorrà dire esserti perso, ma solo ritrovato.

Fuori dai monitor colorati

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Tutti chini su un monitor colorato. Sono le cinque del mattino. E non riesco che a sentirmi solo. Le briciole di umanità sparsi per terra, alla ricerca di qualcosa che ho dimenticato. Spettri, abbandonati alla routine.
Specchi, che non riflettono che ombre.
Vagano, inconsapevoli.
Allungo lo sguardo su uno di quegli schermi colorati di bianco e blu. Vedo un’immagine e mi ricorda qualcosa, improvvisamente. Era questa stazione, tanti, tanti anni fa. Quando i muri non erano scrostati, le facce pallide. Quando tutto non era così silenzioso, coperto da un motivetto creato da un computer. Sento il bisogno di uscire da qui, tanto da qui non partirà alcun treno. Chiedo a un tizio di indicarmi l’uscita. A fatica tira su lo sguardo. Sento mancarmi il respiro quando mi accordo che è spento, vuoto. Lontano. Mi muovo velocemente, ma una via d’uscita non c’è.
Mi guardo intorno, sono tutti chini su un monitor colorato che racconta un mondo che non sono più in grado di vedere. Né di creare.

La solitudine è un gioco di squadra

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La solitudine è un gioco di squadra. E me ne accordo quando guardo i gruppi di ragazzini. Anche se ormai non ci facciamo più caso, un po’ defilato ce n’è sempre uno che è vestito in modo diverso, meno curato. Ascolta la musica e ha lo sguardo basso. Se poi faccio più attenzione, mi accordo che i ragazzi nel gruppone ogni tanto lo indicano. E ridono. Chissà a cosa pensa quel ragazzo solitario, o forse lo so, perché tutti noi, prima o poi, nella vita, siamo stati o saremo quel ragazzo. E lo capiremo, che la solitudine è un gioco di squadra.

Un altro passo

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Salire lungo un sentiero è una fatica immensa. Soprattutto quando il cervello non vuole farlo. Noi siamo umani. E le mani cercano altre mani. Ma alcuni di noi sono più bravi a perdersi nei boschi, a ritrovare la strada per tentativi. Per luoghi disarmanti. E disarmati, proseguire nella corsa. Ma è l’aria, quella che comanda. La fatica è un concetto relativo, quando non si può farne a meno. Ma il sentiero ci ritroverà. Stanchi, sudati, ma pronti a un altro passo.

Siamo normali

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Siamo normali, quando vogliamo allontanarci da un mondo di paillette e stories su Instagram. Restare in silenzio a guardarci dentro, senza scattare foto, senza immortalare alcun momento. Soltanto restando soli con noi stessi. Nella corsa contro il tempo, abbiamo bisogno di perdersi, pur restando in piedi. Pur continuando a sognare di avere ancora qualcosa da dire, senza cercare ossessivamente chi ci ascolti. Quando senti l’emozione salire, far vibrare la pelle dall’interno, sentir salire il magone, poco prima di aver bisogno di bloccare quella lacrima. E questo non potremmo permettercelo, perché nel nuovo mondo deve essere tutto perfetto, positivo, invulnerabile, condivisibile. Buttano il gettone, pretendono il nostro lato migliore. Ma noi siamo normali, non abbiamo interruttori. E spesso abbiamo paura, paura di non aver più niente da dire. Si sentirci tremare quando non troveremo le parole, o quando nasceranno, timidamente, lentamente, senza clamore. Quando saremo soli e le parole che avremo il coraggio di dire, ci emozioneranno ancora.

Solchi

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Trascina via gli occhi.
Questo non è un posto sicuro.
Solchi inevitabili,
Scritte sporche sul muro.
Siamo insospettabili,
perché abbiamo paura.
Porta via le cose inutili,
i vestiti non coprono l’anima.
Taglia i ponti.
Distruggi le lettere.
Cancella i ricordi.
Resterà poco, forse.
Eppure sei soltanto quello.

Passione violata

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Niente brucia più di una passione violata. Siamo quello che vorremmo essere. Lo spettro delle immagini proiettate in un futuro che somiglia ai nostri sogni. Ma la vita è più pratica. Un congegno a orologeria pronto a stupire o a deludere, forse dipende dal tempo. O dalla luna. Cambiamo, perché è inevitabile. Instabile è la determinazione nel mantenere una rotta in mare aperto. Un vento che trascina via ogni cosa, la vita. Ma quella ferita resta lì, nessuna cicatrice la potrà mai coprire. E niente potrà mai bruciare di più della passione, violata, dimenticata, sporcata. Delusa.

D’amore non si muore

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D’amore non si muore. È un detto che ci hanno ripetuto tante volte e che in fondo credo sia vero. Ma d’amore si scrive, perché è quella sofferenza che anima le canzone, risveglia le parole di un romanzo, colora i ricordi con i chiaro scuri di una musica leggera. Le gocce sulle finestre, in cui la pioggia diventa lacrima. Un saluto, quello dopo il quale non ci si vedrà più dopo aver condiviso una vita. Quel momento non è un attimo qualsiasi, va impresso nella mente. Perché, che lo si voglia o meno, è quello che accadrebbe naturalmente. Per questo bisogna farsi forza e trovare la forza proprio in quelle sensazioni. Ma chissà perché poi quando si parla d’amore si racconta delle emozioni negative, eppure la felicità fa molto più rumore. Quel rumore che la musica trasforma in melodia. Perché d’amore non si muore, si urla, si piange, si ride. Si scrive, semmai. Soltanto il silenzio riesce a fare davvero male, quindi, quando ne avrai bisogno, lascia che le tue parole corrano da sole. La libertà è l’unica strada per quelle sensazioni, il resto verrà poi da sé.

Errori

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Quanti sono gli errori che non rifaresti, che lasceresti naufragare tra i giorni trascorsi. Eppure non puoi farlo, impari a conviverci. Anche quando continuano a fare male. Siamo esseri umani, prevedibili, superficiali, poco furbi, ma è forse il nostro lato migliore. È la nostra natura a renderci così, speciali. Ed è così anche credi che non sia così. Quanti momenti bui hai avuto, in cui tutto sembrava fermarsi. Quante volte credevi di non farcela, e poi, magicamente, ci sei riuscito. Chi saresti se quel giorno ti fossi ritirato, se avessi scelto di non combattere? La verità è che sono ferite a far crescere, a far scoprire quella forza quando credevi di averla esaurita. E non è tanto una questione di sognare, la vita spesso è fatta di piccole cose. Quelle grandi e irraggiungibili ci servono fino a un certo punto. Ma quando mi sono trovato su un palcoscenico a cantare una mia canzone, non ho pensato all’idea che avevo di me, al raggiungimento di un obiettivo, ma alle parole che in quella canzone parlavano di una donna. Perché in quel momento era quello che aveva davvero un valore. La prima volta che mi è successo ricordo che dimenticai tutte le parole e fui costretto a improvvisare. L’esibizione venne una porcheria, ma è solo grazie a quell’errore se ho continuato a cantare, a scrivere e a pensare che le parole sarebbero state per me così importanti. Quanti errori che non rifarei, ma a quanti di questi posso solo dire grazie?

L’odore della gomma per cancellare

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L’odore di una gomma nuova. Le matite colorate, una bella penna. Quaderni, fogli protocollo. Settembre è il mese in cui si compra il necessario per tornare a scuola. Quegli odori vivono ancora in quelle cartolerie storiche, sopravvissuti alla tecnologia, alla rete, alla superficialità dei giorni nostri. Cambiano le immagini stampate sulle cartelle nuove, non quell’emozione e il timore disegnati sui volti dei bambini di fronte a una nuova avventura. Quando penso a quei momenti, a volte mi sembra ancora ieri. E invece sono passati tanti anni. Quell’odore un po’ sa di nostalgia, per quanto non tornerei mai a quei momenti. Ma si sa, siamo nostalgici e malinconici di fronte all’idea di quando ci sedevamo sulla sediolina, con il nostro banchetto davanti. Quando la cattedra sembrava enorme e le lavagne, muri invalicabili. Ma era anche l’inizio di una storia, le prime parole, le prime idee. I primi amori, se così vogliamo chiamarli. Ma tutto iniziava proprio dall’odore di una gomma nuova.