Ne avevo bisogno

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Avevo una via d’uscita,
da un mondo che mi spezzava.
Poche ore di paradiso,
per spazzare via il purgatorio.
Quello dei giorni normali,
in cui mi urlavano che non valevo niente.
Ne avevo bisogno,
per non sentire il rumore.
Metallo su metallo,
qualcosa da fumare, inghiottire o respirare.
In quegli attimi mi sembrava di volare.
Un volo leggero,
poco prima di sfracellarmi al suolo.
Con le ali piegate,
sotto il peso di un mondo cattivo.
Avevo una via d’uscita,
ma non sapevo portasse all’inferno.
Vittima e carnefice.
Inganno o promessa.
A cosa serve vivere,
se a vivere non riesci.
A cosa serve vivere,
se vuoi scappare ogni giorno.
Senza poterlo mai davvero fare.
Ne avevo bisogno,
perché tutto sembrava finto.
Perché avevo voglia di ridere.
E troppe volte non ci è concesso.
Perché i falchi sanno mentire bene.
E io non ho mai ceduto al paradiso.

Photo by Unplash
Text by Daniele Mosca

Imminente

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É imminente,

il racconto di una vita.

Delle sue pulsazioni.

I suoi luoghi incantati.

Ma imparerai il teorema del veleno.

Perché siamo serpenti,

con la pelle d’uomo.

Che vivere non è sempre una favola,

ma che è grazie alle storie che crescerai.

Che vivere non è sempre capire,

ma che è grazie alle cadute che imparerai.

Perché siamo fragili.

Siamo bicchieri di cristallo,

pronti a ricucire fratture.

Siamo le ferite che ci hanno fatto.

Per questo vorremmo curare quelle degli altri.

Ma no, quello a volte non ti riuscirà.

E forse capirai che ne sarà comunque valsa la pena.

Crederai che un dio può anche non esistere,

ma che ci puoi parlare lo stesso.

E che tante volte parlerai da sola.

Perché parlare con se stessi serve più che urlare al cielo.

É imminente,

il racconto della tua vita.

Ti regalerò una penna,

perché tu possa iniziare a scriverla.

Stringo al cuore una lettera

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C’è gente che urla fuori,

ed io ho paura.

Mi dicono: devi andare via.

Tu sei diverso.

Stringo al cuore una lettera,

chissà se la rileggeró.

Ha un sapore aspro, la vendetta.

Aspetta sulla porta, e ride.

Ci hanno tolto tutto,

presto non ci lasceranno nemmeno la vita.

Ho una stella sul braccio,

il mio cuore non ha più sangue da far girare.

Fuori fa freddo.

Nella mia valigia non c’è nulla che io possa indossare per non sentirlo.

I rumori sono sempre più forti.

Stanno arrivando.

Ero un comunista

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Ero un comunista,
l’anima svenduta, per salvarmi.
Una goccia sulla fronte.
Ero un comunista,
il mio era solo un sogno.
Un’altra goccia sulla fronte.
Ero un comunista,
ho denunciato il mio miglior amico.
Non avevo scelta.
Non posso muovere le braccia,
un’altra goccia di cade sulla fronte.
E un’altra ancora.
Io non potrò mai più scappare.
Sono qui da un’ora,
un mese,
un anno.
Non lo ricordo.
Ero un comunista,
servivo il mio paese.
Ora sono un condannato.
Sento dei rumori.
Mi interrogheranno ancora.
Vogliono dei nomi.
Sto impazzendo.
Vogliono dei nomi.
Ho paura.
Vogliono che faccia i nomi.
Dei miei figli.

Credits:
Photo by Keenan Constance on Unsplash
Text by Daniele Mosca

Ho visto uomini ridere

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Ho visto uomini ridere,
appollaiati a un balcone,
Come sulla prua di una nave,
pronta ad andare a fondo.
Ma il capitano è l’ultimo a scendere,
dicono.
Ho visto uomini crederci,
Mentre l’acqua invadeva i loro polmoni.
Chi urla più forte vince.
Chi indica una strada prega,
che qualcuno lo segua.
Qualcuno vende pezzi della carta,
convinto siano soldi.
Ho visto uomini invocare la carta per il pane e il latte.
Ma la fame non la si scopre mai,
prima che giunga davvero.
Ho visto uomini gioire,
di aver cambiato il mondo.
Poco prima di averlo ucciso.

Siamo qui

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Mentre monto la culla,
mi guardo intorno e penso.
Questa sarà la tua camera,
il tuo piccolo mondo.
Quanto era diversa la mia vita,
quanto è cambiata.
E quanto cambierà ancora,
grazie a te.
Una vite, attaccare dei pezzi di legno.
Se tutti i momenti della vita fossero così chiari.
Invece sono governati dal caso.
Che ha scelto di fare incontrare me e la mamma. E di farti comparire all’orizzonte.
Sino a diventare così vicina.
La culla è quasi finita.
Così come l’attesa di te.
Non sappiamo quando arriverai.
Ma siamo qui.

Il deserto mi separa dalla mia vita

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Il deserto mi separa dalla mia vita.
Quella vecchia, fatta di guerra.
Degli occhi di mia madre,
che non poteva darmi di più.
I segni sulla pelle,
raccontano del mio viaggio.
Del male che mi è rimasto addosso.
Vorrei una vita vera,
in cui potermi guardare allo specchio.
Oltre le cicatrici.
Non riesco a sentirla ancora,
la puzza del sangue.
Degli escrementi seccati addosso,
perché loro potessero riderne.
Ma loro volevano soldi.
E mia madre non poteva mandarne.
Così ho rigettato singhiozzi indietro,
lacrime all’inferno.
Illudendomi, forse,
che un giorno avrei solcato il mare.
Che avrei avuto un’altra possibilità.
Che sarei riuscito a salvare anche mia madre.
Sta entrando acqua nel gommone.
Tutti gridano.
Alcuni di noi si stanno buttando nell’acqua gelida.
Una mamma stringe un neonato in braccio.
É buio, ma riesco a vederlo bene.
Nessuna delle due ha la forza di piangere.
Il deserto mi separa dalla mia vita,
il mare anche.