Cadere

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Mi sento cadere.
Attorno a me,
il vuoto.
Attorno a me,
urla.
Non sento più la sua mano,
non percepisco me stessa.
Un salto,
l’ultimo.
Nessuna musica,
soltanto grida.
Mi sento cadere,
qualcosa ha ceduto.
Da cosa scappiamo,
mi chiedo.
Ma è tardi,
non riesco a respirare.
E non so dove sia mio figlio.

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Text by Daniele Mosca

La prima volta

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La prima volta,avevamo paura.

Ci mancava il fiato.

Dovevamo capire.

Le luci blu,

le urla.

Palazzi che si sbriciolavano,

al suono di parola che non conoscevamo.

Ora sento il silenzio.

Il sangue non fa più notizia.

Sappiamo tutto.

Tutto passa, in secondo piano.

Ci cose più importanti.

La seconda volta, 

fa quasi meno male.

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Text by Daniele Mosca

  

I nostri pensieri

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Ci cambiano,
legano i nostri pensieri.
Ci comprano,
con le nostre illusioni.
A regalare, siamo noi.
I nostri sogni.
I momenti importanti.
Cerchiamo consenso,
perché non troviamo noi stessi.
Siamo le vittime.
Siamo i carnefici.
Duri che hanno paura del buio.
Un sentiero di spine.
E corrente alternata.
Ci cambiano,
rubano i nostri pensieri.
Fiabe moderne,
in una realtà alterata.

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Text by Daniele Mosca

Gialappas vs Cicciogamer89

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Brutta pagina di televisione quella in cui la Gialappa’s Band percula e bullizza un ragazzone in quello che sembra un remake malriuscito del Mai dire Gol di un tempo. Peccato che il ragazzone non fosse il Maccio Capatonda che faceva il cretino in reti sconosciute, ma uno degli youtuber con più di tre milioni di followers. A parte il voler ignorare che i social hanno abbondantemente offuscato la televisione, mi chiedo: ma perché cercare facile ironia deridendo sull’aspetto fisico un ragazzo con tanto di sberla sulla nuca dell’ormai cariatide mediatica del Mago Forrest? A un ragazzo che tra l’altro ha subito diverse operazioni per ridurre il suo peso e che chiaramente vive non bene. Da ex obeso so cosa significa essere perculati per il proprio aspetto fisico, quindi solidarietà a CiccioGamer89 e un bel ritiratevi a quelli che consideravo dei miti. #poveracci

Le guerre che farai

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Quando piangi,
e non hai fame.
E ti guardo,
Indifesa e incazzata.
Urli alla luna,
Scalci alle stelle.
Poi ti plachi,
Stringendoti più forte.
Perché non sei molto diversa da me.
Dietro al rancore, alla rabbia,
i sogni infranti,
c’è il bisogno di essere amata.
Avrai tempo per le tue guerre.
Per ora puoi ancora dormire.
Per adesso le faremo noi per te

I sognatori, non la meritavano

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I cassonetti dati alle fiamme.
I poliziotti allo sbando.
I sognatori, anche.
Hanno vinto gli sciacalli.
Quelli che avevano bisogno delle spranghe,
per sentirsi vivi.
Dei lacrimogeni, per sentire il sapore delle lacrime.
Ma non c’è poesia, oggi.
Sull’alfalto, sangue.
Dipinta in cielo, la sconfitta.
La rabbia.
Il rancore.
La frustrazione.
Riesco a leggerla negli occhi di chi grida.
Attorno, solo fumo.
E disillusione.
I sognatori, non la meritavano.

Se mi guardo nello specchio

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Se mi guardo nello specchio, con il tempo che è passato. Sono solo più ricco più cattivo è più invecchiato.

Questi erano i versi di una canzone che ho amato da adolescente. E che infondo amo ancora. E la amo perché la vita è una fossa di serpenti.

E nonostante queste bisogna andare avanti. Non sono più ricco, forse più cattivo e certamente più invecchiato. Quando ho iniziato a scrivere era una cosa che riguardava me. Soltanto me. Ma quando ho iniziato a farlo parlando di quello che avevo intorno è cambiato tutto. Ho iniziato a sentire il peso che le mie parole potevano avere su chi mi leggeva, nonostante il mio fosse, come alcuni simpatici esponenti della musica indipendente definirono, un piccolo blog. Nulla è cambiato quando le parole sono state impresse su dei romanzi. Poi, sì. Qualcosa è cambiato. Ho iniziato ad avere paura. Paura di sbagliare, di trovarmi davanti a una sala con le sedie vuote. Paura che chi mi seguiva smettesse di farlo. Che mi aveva dato fiducia, me la togliesse.

Mi dimetto da falso poeta, da profeta di questo fanclub. Io non voglio insegnarvi la vita, perché ognuno la impara da sé.

Già, perché quando quell’incubo è diventato realtà ho visto bloccarsi la mia mano che stringeva la penna e con essa le idee che la muovevano. All’inizio è stato difficile capire che si trattava di un blocco. Di qualcosa che mi teneva fermo sulla griglia di partenza, mentre vedevo tutti gli altri correre.

Per ritrovarmi sono dovuto tornare indietro. Al momento in cui tutto è iniziato. E forse questo è avvenuto grazie alla nascita di mia figlia.

Me ne andrò nel rumore dei fischi. Sarò io a liberarvi di me. Di quel pazzo che grida nei dischi. Il bisogno d’amore che c’è.

E anche se chi mi seguiva mi ha voltato le spalle. Se chi mi ha dati fiducia poi me l’ha tolta, ho ricominciato a scrivere. Scrivere perché è una cosa che riguarda me. Soltanto me. Poco importa se troverete le mie parole dipinte su un piccolo blog o sulle porte dei cessi degli autogrill. Ma chi vorrà, le troverà. Perché c’è una cosa che a mia figlia non vorrei mai insegnare: ad arrendersi.

Nello specchio questa sera ho scoperto un altro volto, la mia anima è più vera della maschera che porto.

Ah, la canzone citata è ovviamente “Vaffanculo” di Marco Masini

In un modo diverso

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Vi ho sentiti urlare,
gettarvi addosso fango.
Distruggere ogni brandello di identità.
Vi ho visti rubarvi l’anima.
Nutrirvi dei sensi di colpa.
Ho vomitato di fronte al mare,
fuggendo in luoghi oscuri.
Dove la mente non poteva ascoltare.
Lì ho costruito le mie parole,
reinventato la mia storia.
L’ho difesa dal veleno.
Tagliato stracci,
cuciti gli uni agli altri,
Perché per fare una mongolfiera,
ci vuole stoffa.
E alzarsi in volo, il fuoco.
Vi ho sentiti urlare,
gettarvi addosso l’odio.
E forse allora,
stupido e inconsapevole,
ho capito che anche io avrei usato le parole
Ma in un modo diverso

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Text by Daniele Mosca

La tua mano nella mia

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La tua mano nella mia,
così piccola e inconsapevole.
Gli occhi così grandi,
che mi scrutano.
Chissà se mi riconosci,
in un mondo da cui difenderti.
In un tempo sospeso,
in un’immagine confusa.
I tuoi occhi, nei miei.
Un suono leggero, il tuo nome.
Sussurrato, perché non faccia rumore.
Potresti svegliarti,
mentre io non vorrei svegliarmi più.

Il mantello

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Volevo un mantello,

per volare o nascondermi.

Per sfidare il male,

Per sentirmi il bene.

Ma è la vita, a sporcarti.

A renderti un personaggio reale.

Con le sue paure.

Così l’ho capito,

non sarei mai stato capace di volare.

Tantomeno di nascondermi.

E forse sarei stato il male,

per difendermi dal bene.

Perché tutto è relativo.

In un mondo da cui difendersi.

Me ne sono vergognato, delle lacrime

Le ho inghiottite,

rimandate indietro.

All’inferno.

Perché i supereroi non esistono.

Non qui, almeno.

E proprio quando tutto sembrava finito,

che ho scoperto che non era impossibile.

Che si poteva ancora fare.

Amare, intendo.

E vorrei un mantello,

anche se ho i piedi per terra.

E non ho alcuna intenzione di nascondermi.

Ma di difenderti.

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Text by Daniele Mosca