A volte mi sembra di non conoscerlo per niente, Daniele Mosca.

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A volte mi sembra di non conoscerlo per niente, Daniele Mosca. Di non comprendere le sue parole, le sue idee. Le provocazioni. Mi somiglia, tante volte si veste come me, ma allo stesso tempo mi spaventa per quello che scrive. La ferocia e l’amore. La rabbia e la passione. Quell’incrocio pericoloso di pensieri e ricordi che spingono me a scappare, lui, a scrivere. Quanto siamo diversi. Quanto uguali. Ho sempre sognato di saper scrivere come lui, io che ho sempre avuto paura di farmi notare. Vittima della timidezza, delle insicurezze che la vita ti getta addosso. Mi sembra di non conoscere la sua storia, perché lui se ne fotte. Lui scrive, millanta, deride, spara, si difende, inconsapevole di quello che penseranno dall’altra parte della penna. Io ci penso e resto prigioniero di me stesso, della paura che un giorno possa incautamente specchiarmi nello specchio e scoprire di avere la sua stessa faccia, i suoi occhi, la sua ferocia, l’amore, la rabbia e la passione. Io, che ho passato la vita a guardarlo salire sul palco, nascosto, al fondo della sala.

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Text by Daniele Mosca

Se vuoi la verità

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Io gioco con le parole,
con i silenzi.
Le note.
Ma quando resto solo,
sono una vittima,
come tutti.
Delle paure,
se non dei sogni.
Quando nella notte urlano.
Che li ho traditi.
Io gioco con le parole,
e troppe volte non basta.
Il mondo è ferocia,
sguardi che cambiano.
Se non sei in vetta.
Fermarsi è un reato,
per il quale si è considerati colpevoli.
Ai miei occhi di un tempo,
lo ricordo ogni giorno.
Mai dimenticato rabbia,
delusioni,
sogni che qualcuno ha infranto.
Mai perso la speranza,
per quanto possa averlo creduto.
Ma io gioco con le parole,
se vuoi la verità
guardami negli occhi.
Se quel coraggio non ce l’hai,
pensa a giocare.
Le parole sono una cosa seria.

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Text by Daniele Mosca

#Labirinto #Ep4

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C’erano monitor dappertutto. E Fabio sentiva il morso della fame. Fuori dal suo involucro, costruito a sua difesa, stava gridando. E non avrebbe voluto farlo, sapeva che quando succedeva sua madre aveva paura.

Paura che suo figlio non riuscisse a superare l’ennesima crisi. Fabio riusciva a sentire la presenza degli elettrodi posizionati in ogni punto del suo corpo. Sentiva flebile il suono della voce della dottoressa che sta mostrando a sua madre un piccolo oggetto. Alcuni flash che sua memoria gli consegnava gli raccontavano che era stato portato in quel luogo trascinato da cinque persone, che lo avevano legato alla barella. Sprazzi di vista mostravano il monitor sul quale si muoveva impazzito il grafico delle sue funzioni vitali. La dottoressa aveva definito quello che stava accadendo: “la soluzione”. Fabio iniziò a percepire dei rumori provenienti da fuori, aldilà della porta della sala operatoria. Anche se nella posizione in cui si trovava riusciva a vedere poco, notò il viso della dottoressa. Era teso. Contratto. Capì che la dottoressa era allarmata. Il monitor che fino a pochi istanti prima aveva mostrato i suoi parametri vitali era saltato ed emetteva fumo nero. Anche quello accanto era ormai fuori uso.

“Cosa sta accadendo?”, pensò.

Fuori dal suo involucro Fabio aveva smesso di gridare. Sentiva il cuore accelerare, mentre vedeva la dottoressa fissare mia madre, la quale rispose con un breve cenno del viso.

Vidi la dottoressa indossare una mascherina e avvicinarsi con il piccolo oggetto in mano.

Proprio quel momento anche il terzo monitor saltò per aria. Fabio perse i sensi nel momento stesso in cui sentí penetrare l’oggetto nella mia nuca. Non vide più niente, soltanto flash che lo abbagliavano. Ovunque lui fosse in quel momento. Non riusciva più a percepire il tempo. Né a muoversi.

Quando riaprí gli occhi era sdraiato su una barella, si guardò intorno e pensó di trovarsi all’interno di un furgone che correva a folle velocità. Il lenzuolo era sporco di sangue e sentiva delle forti fitte poco sopra la nuca.

Fabio cercò di mettere a fuoco ciò che aveva intorno. Doveva mantenere la calma. Evitare che tutte quelle sollecitazioni non si sovrapponessero e che tutte le informazioni fossero condotte nei giusti corridoi. In quelli che conosceva meglio, perché aveva imparato a capire che la sua mente era come un labirinto. Bastava che informazioni finissero nel corridoio sbagliato perché tutto si confondesse e la realtà prendesse forme diverse.

“Stai bene?” sentì pronunciare da un viso che vedeva appena.

Fabio rimase in silenzio, chiedendosi se fuori dal suo involucro stesse già gridando.

“Io so che ti chiami Fabio”, proseguì.

Fabio sentiva il frastuono provenire dall’esterno del furgone. Gli penumatici stridevano, rumori metallici, colpi che spingevano il furgone da dietro, come se qualcuno o qualcosa lo stesse spingendo in avanti. I dati che vedeva sul piccolo monitor a lato indicavano che i suoi parametri vitali stavano tornando alla normalità.

“Come ti chiami?” pensò di chiederle. Chissà se la voce sarebbe uscita questa volta, pensò.

Fabio non seppe mai se la sua voce fosse davvero uscita, ma la ragazza che aveva di fronte rispose.

“Simona. Io mi chiamo Simona. E un po’ ci somigliamo”.

“E chi sei?”, immaginó di chiederle.

“Sono una ricercatrice.”

Fabio iniziava a unire le immagini che la memoria gli inviava. Quella ragazza era piombata nel laboratorio e aveva addormentato la dottoressa e sua mamma, lo aveva slegato e portato via, poco prima che degli uomini armati sfondassero la porta. Lo aveva accompagnato attraverso un’uscita secondaria e poi fatti salire sul furgone sul quale ora si trovava.

“Torneremo a prendere la mamma, sta tranquillo”, aveva detto. Mentre gli uomini armati salivano su un altro furgone e si lanciavano all’inseguimento.
#Labirinto
#Ep4

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Text by Daniele Mosca

Tempo di bilanci

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E come ogni anno, arriva il momento dei bilanci. Inutile negare che questo sia stato l’anno della nascita di Beatrice e completa il progetto che Anna e io abbiamo iniziato il 15 luglio dell’anno scorso: creare una famiglia. Un sogno che si avvera. Ancora non ci credo quando ci penso, quando le guardo dormire insieme e finalmente mi ritengo un uomo fortunato. La vita tante volte sa trovare la strada giusta, anche in mezzo alla polvere. Questo è stato anche un anno di profonde riflessioni, da un punto di vista personale, ma anche professionale e “artistico”. C’è la voglia e la necessità di guardare avanti, nonostante tutto. C’è ancora voglia di scrivere cose nuove. E di prendere le distanze dal mondo delle recensioni, dimensione al cui interno gravitano rapporti spesso torbidi e nei quali io non mi riconosco. Dopo tantissimi anni di attività credo sia davvero arrivato il momento di smettere. Per il resto, a volte mi chiedono se sia in programma un nuovo romanzo. Quello che so è che continuo e continuerò a scrivere, ma non so se ci sarà mai un nuovo libro. L’impegno e le risorse già investite per dare vita ai miei due primi romanzi sono state enormi e le difficoltà perché potessero trovare spazio, anche. Dal mondo delle recensioni ho imparato che esistono realtà e opportunità diverse a seconda dei soggetti, circoli chiusi, un mondo dentro a un altro mondo.
E io ho una faccia sola da spendere. Per questo ringrazio come sempre chi crede in me e mi supporta, ma anche chi mi ostacola, dandomi la forza per continuare a lavorare per migliorare. Come dicevo, c’è la voglia e la necessità di guardare avanti, nonostante tutto. Auguro a tutti un Buon Anno, con la speranza che possiate realizzare i vostri sogni. A volte, accade.

#Labirinto #Ep3

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Fabio iniziò a muovere il mouse e riprese possesso del suo avatar. Osservò la ferita sul fianco della donna e cercò di tamponarla con la sua giacca.
Sapeva di avere solo pochi minuti per riuscire a salvarla.
Sentiva la crisi d’ansia arrivare.
Se fosse successo di nuovo lo avrebbero imbottito di farmaci come l’ultima volta.
Cercò di calmarsi e fece sollevare la donna. Una volta in piedi la fece appoggiare alla sua spalla e la accompagnó verso quello che era stato l’ospedale di Second Life.
Nella seconda schermata, accanto a quella del gioco virtuale, cercava tutorial su youtube su come fermare l’emorragia.
Giunti in ospedale, Fabio cercò la scritta “sale operatorie”.
Fece sedere la donna su una sedia a rotelle che trovarono all’ingresso e percorsero il lungo corridoio.

“Come stai?” Le chiese.

La donna non rispondeva. Stava perdendo troppo sangue. A ricordarglielo era la scia che stavano lasciando lungo il corridoio.
Entrarono nella sala e fece sdraiare la donna sulla barella. Era allo stremo delle forze.
Cercava di tenere a mente quello che aveva capito dei tutorial. Prese delle bende elastiche e del disinfettante. Ma non sarebbe stato abbastanza. Doveva rimuovere quella scheggia che spuntava dalla ferita. Avrebbe dovuto sederla.
Dall’altra parte della casa sua madre continuava a chiamarlo per il pranzo e aveva a disposizione poco tempo. Cercò di calmarsi e di analizzare quello che i tutorial dicevano.
Aveva sempre avuto paura del sangue. E stava pulendo una ferita di una donna che non conosceva. Toccò l’oggetto che fuoriusciva dalla pelle e si rese conto che non si trattava di una scheggia, ma di qualcos’altro. Pensò a un proiettile, ma era diverso, seppur la forma lo ricordasse.
Lo rimosse lentamente e tamponó la ferita, una volta fermata e disinfettata aveva bisogno di applicare dei punti. Pregò di non svenire.
La voce di sua madre era sempre più forte. Prese la corda anallergica e iniziò l’operazione.
La donna era ancora sedata. Sperava che il dosaggio dell’anestetico fosse sufficiente.
Poi la sentì urlare.
In quel momento la porta si aprì. Era riuscito a nascondere la schermata di Second Life.
Accanto a sua madre c’era una donna con un abito elegante ma sobrio. Aveva un mezzo sorriso forzato.

“Fabio, saluta la dottoressa. Dice che vuole sottoporti a dei controlli.”

“Fabio, vuoi vestirti e venire con me? Faremo tanti giochi. Ti va?”
#labirinto
#Ep3

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#Labirinto #Ep2

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Fabio non rispondeva.
“Mi senti?” continuava a ripetere la voce dalla radio.
“Sì” sussurró Fabio. Tratteneva a stento i brividi. Il suono della sua voce che si appropriava del corpo. Una sensazione nuova.
“Dove ti trovi?”
Fabio ricordava le parole dei suoi genitori. Dicevano sempre di non dare confidenza agli sconosciuti. Era molto tempo fa. Prima che tutto cambiasse. Prima che loro cambiassero.
“In Italia”
“Non sei solo, ora ci…”
In quel momento la porta si spalancó e comparve sua madre. Fabio era riuscito ad abbassare il volume della radio.
“Fabio, hai parlato? Mi era sembrato di sentire delle voci”
Fabio scosse il capo e indicò il computer.
“I tuoi stupidi giochi” affermò stancamente Francesca.
In quel momento il monitor del computer si riattivó sulla schermata di Second Life.
Fabio lo fissò per qualche istante. Francesca cercò di capire, ma come tante altre volte non ci riuscì e uscì dalla stanza.
Fabio provava a comporre i pezzi nella sua mente. Forse stava impazzendo, come più volte gli avevano detto i suoi compagni di classe. Non aveva mai visto nessuno in quell’antico gioco virtuale. Ma se la schermata si era avviata, qualcuno doveva esserci.
Fabio si avvicinò al monitor, prese possesso del suo avatar e si mosse lungo la via principale. Osservò le stradine laterali. Erano deserte. Superò il vecchio bar dove un tempo gli utenti si incontravano per conoscere l’anima gemella. Poi sentì un rumore lieve, entrò in una via laterale. Fece qualche passo e poi la vide. Era una donna immersa in un lago di sangue. Ma era ancora viva. E gli stava chiedendo aiuto.
#labirinto
#Ep2

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Labirinto #Ep1

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Fabio può restare ore a guardare fuori dalla finestra. I suoi genitori sono preoccupati, da un po’ di tempo é cambiato. Fa domande strane. I suoi amici dicono che è pazzo, i suoi medici che è autistico. Fabio però con il computer é un mago. E adora i video giochi. É curioso e ha scoperto un gioco del passato. Il primo tentativo di realtà virtuale. Si chiamava Second Life. Si è costruito un avatar, un personaggio con cui può girare indisturbato in un mondo ormai deserto. Fabio é appassionato anche di radio, un mezzo di comunicazione ormai superato. Le frequenze che un tempo portavano musica sono ormai silenziose. Soltanto in una delle frequenze riusciva a sentire un fruscio diverso dagli altri. I suoi genitori però non gli credevano. Sapeva che presto lo avrebbero riportato dai dottori e gli avrebbero somministrato quelle pillole. Proprio in quel momento dalla radio sentí una voce. Riesci a sentirmi?
#Labirinto
#Ep1

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Text by Daniele Mosca

Il giorno e la notte

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Il giorno e la notte.
Sapore di borotalco.
Quel filo sospeso,
tra le ore che ti cambiano.
E come eravamo ieri.
Gli alti e bassi,
come elementi essenziali,
di una composizione.
In cui musica è percezione.
E ogni nota è lì,
dove dovrebbe essere.
Chi mai lo l’avrebbe immaginato,
questo suono.
Questa istantanea,
rubata appena a un’espressione,
del viso.
Il giorno è la notte,
tra una lacrima,
e un sorriso.

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Text by Daniele Mosca

Rialzarsi

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Ognuno di noi gioca una partita.
Tutti i giorni.
Ogni istante della propria vita.
A volte si vince, tante volte si perde.
Quella che deve restare è la voglia di lottare.
Di non darsi per vinti,
anche quando mancano pochi minuti al termine della partita.
A un bambino che inizia a giocare a calcio, insegnano questo.
Poi il tempo trascorre.
E quel bambino cambia.
Così come gli cambia tutto attorno.
E finirà per sentirsi confuso.
Sicuramente proverà la paura,
quella di non farcela.
Di non essere abbastanza.
Lottare tutta vita, logora.
Anche quando rende più forti.
Ritrovare il coraggio, diventa sempre più difficile.
Io a quel bambino direi di non scoraggiarsi,
di credere in se stesso.
Soprattutto dopo una sconfitta.
Soprattutto dopo aver dato tutto.
E gli direi di tornare ad allenarsi già dal giorno dopo.
Perché quella è l’unica strada possibile per rialzarsi.

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Text by Daniele Mosca

Il sorriso

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Ho vagato,

amato ciò che non doveva essere amato.

Sbagliato.

Le strade portano in luoghi lontani.

Dove piove a dirotto,e lacrime si confondono.

Ci portano a dubitare,tante volte anche di noi stessi.

Stavo per chiudere il negozio,

quando sei entrata per comprare un regalo.

Io dietro a un banco ormai vuoto,

ho incartato un sorriso.

Era l’unica cosa rimasta,

e non sarebbe bastato,

a farti ritornare.

Invece stavo sbagliando,

ancora una volta.

Perché poi sei tornata.

Ora quel negozio ha più colori.

Odora di vita.

E il regalo che mi fai è il più importante,

il tuo sorriso.