Ciao, sono Daniele.

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Ciao, sono Daniele.
E ogni sera quando torno a casa dopo una giornata di lavoro vedo questa scena. Beatrice che sorride divertita che guarda la mamma, ma proprio con un sorriso che quasi arriva alle orecchie. Con gli occhi che ridono, pure loro. Poi. A un tratto. Mi avvicino alla culletta. Cerco di attirare la sua attenzione, la chiamo. Lei si volta lentamente e il sorriso si tramuta istantaneamente nell’espressione di chi fissa preoccupato il microonde dal quale sta uscendo del fumo nero e che rischia di esplodere da un momento all’altro. Poi con lo sguardo cerca la mamma con l’espressione interrogativa e anche un po’ preoccupata di chi, se potesse parlare, chiederebbe: ma questo chi è?
Così, ogni sera, mi presento.
Ciao, non sono l’operatore Amazon che fa l’autista e porta i pacchi, sono il tuo papà. Da tre mesi, tra l’altro.
Sipario.

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Text by Daniele Mosca

Guarda altrove

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Guarda altrove.
Dove piove sangue,
e i proiettili non fanno più male.
La sabbia nasconde tutto.
Anche gli uomini.
Specchi di se stessi,
animali che non ricordano più.
Pronti a costruirsi una religione.
A costituirsi.
Per non perdere l’identità.
A prendere, la dignità.
Perché ciò che credono sia,
conta molto di più.
Sembra cinico,
spietato. Irreale.
Sta per piovere.
Questo è odore di metallo,
ma non lo riconosciamo più.
Mi mordo le labbra,
ora ne sento il sapore.
Ma tu, non preoccuparti.
Guarda altrove.

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Text by Daniele Mosca

Tutti ne parlano senza averla letto, ecco cosa penso dell’Analisi costi benefici sulla Tav

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Tutti ne parlano, nessuno l’ha letta. Parlo dell’analisi costi benefici sull’opera Tav. Per curiosità sono andato a scaricarla e a leggerla, ho trovato una perizia di parte con dati presi un po’ da tutte le parti e raffazzonate in grafici per avvalorare una tesi che è già chiara dalla prima pagina: la tav non serve e qui ve lo dimostreremo. Tralasciando sui vari capitoli che cercano di denigrare le affermazioni di Foietta (ma non era una relazione tecnica) , si intravedono concetti antichi anche se fossimo ancora negli anni ottanta. Il traffico su gomma conviene, perché, dicono, ci sarà comunque meno traffico e quel poco può essere smistato su altre infrastrutture, sempre autostradali. Chicca finale: i pendolari. Nemmeno le infrastrutture a corollario dell’opera sono così necessarie, perché, diciamolo, treni ce ne sono già tanti, così come le strade che funzionano, per chi vuole andare in auto e sono pure scorrevoli. Quindi, che ci frega di andare a Lione? Il mio è un sunto di parte, ovviamente scritto da uno che attende con impazienza che il treno arrivi a Orbassano (sí, una di quelle opere a corollario) e che spenderebbe molto meno tempo e soldi per andare a lavoro, oltre a inquinare meno. Ma, in fondo, mica devo andare a Lione, io. Il tema è questo: o si è tecnici o si è politici. Questa commistione strumentale non è che una presa in giro, sia per chi crede nella realizzazione di un’opera come investimento sul futuro, ma anche per chi è contrario, per tutte le sue legittime ragioni.
#SiTav
#NoTav
#ForseTav

Oggi è San Valentino, ma io ricordo Marco Pantani

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Oggi è San Valentino, un giorno importante per tanti motivi, ma a me piace ricordarlo anche perché è stato il giorno in cui un artista che ho amato molto è stato ritrovato morto in un’anonima stanza di albergo di Rimini. Sto parlando di Marco Pantani. Distrutto dalla stampa, dalla sfortuna, dai cattivi incontri, non è riuscito a vincere l’ultimo gran premio della montagna. Abbandonato da tutti, perso nel tunnel della droga, è uscito di scena in silenzio, ma per molti di noi è ancora qui ed è ancora un esempio, nonostante chi cerca di screditare, puntare il dito, fare del male, a me piace ricordarlo con la sua bandana a sbaragliare e lasciarsi alle spalle gli avversari. La sua fragilità era anche la sua forza, non dimentichiamolo quando ci perdiamo e rimaniamo soli. Non dovremmo mai vergognarcene.
#SanValentino
#MarcoPantani

Io sono mia, la storia di Mia Martini

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#iosonomia mi ha fatto riflettere, nonostante conoscessi bene la storia di Mia Martini. Non sto a dire che la splendida interpretazione di Serena Rossi abbia ridato vita all’artista con maestria, talento e professionalità, ma a farmi pensare sono state le scene in cui è stato raccontato l’isolamento in cui Mimì è stata relegata, fino a essere costretta al ritiro. Ricordo di avere iniziato a seguirla con il brano “Almeno tu nell’universo”, poco prima di iniziare a seguire anche Marco Masini. Anche quest’ultimo ha vissuto quell’incubo. Ho visto con i miei occhi la gente allontanarsi, i palazzetti svuotarsi e poi anche i locali più piccoli. Sono però orgoglioso di averlo supportato anche in quei momenti, andando ai suoi spettacoli, cantando le sue canzoni, comprando i suoi dischi. Quello che mi piacerebbe sapere sono i nomi degli artisti che non volevano entrambi sul palco. Sarebbe ora che questi personaggi iniziassero a togliersi la maschera di chi davanti alle telecamere recita “Mimì, quanto le volevo bene”. Chiusa la polemica, resta che “Io sono mia” sia una bella fiction, un ottimo ritratto che rende giustizia a Mimì. Ma c’è ancora molto lavoro da fare in un mondo, quello dello spettacolo, cinico, perfido e tante volte ignorante .

#Labirinto #Ep6

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“Dobbiamo arrivare al nodo di trasmissione del segnale”
“Quale segnale?”
“Quello che inibisce parte del nostro cervello: l’amigdala”
Fabio rimase a fissare la ragazza.
“Esiste un sistema in grado di modificare il ragionamento del nostro cervello. Ma esistono alcune anomalie. E noi facciamo parte di queste.”
“Chi sono gli altri che ne sono influenzati?”.
“Tutti, Fabio. Anche se loro non se ne rendono conto. Noi, in qualche modo, ne subiamo un effetto ridotto”.
“Come hai fatto a rimuoverlo?”
“Con un vecchio modello numerico che riesce a schermare il segnale di contagio, sono riuscita a recuperarla da un vecchio laboratorio utilizzato per le ricerche a cui avevo partecipato quando tutto era ancora normale”.
“Non è permanente?”
“No, quando si accorgeranno che il modello è stato attivato proveranno in tutti i modi a eliminarlo.”
“Come pensi di arrivare al nodo?”
“Attraverso un gioco che conosci bene”.
“Second Life?”
“Esattamente. Te la senti?”
Fabio si sentiva finalmente sicuro di se stesso.
“Non vedo l’ora.

Finalmente Fabio si sentiva a casa.
Le luci, le immagini, le sagome poco definite dei fabbricati. I suoni metallici di un gioco in cui aveva trascorso buona parte della sua vita.
Si voltò e vide la sagoma della donna che ricordava di aver salvato pochi mesi prima. Ricordava di averla portata nell’ospedale di Second Life per fermare la sua emorragia. Ora sapeva che quello era l’avatar di Simona.
“Dobbiamo prendere un’auto” disse lei, mentre si accingeva a rompere il vetro di una vecchia familiare.
La vide chinarsi sotto il volante per poi metterla in moto.
“Come fai a saperlo?”
“Me lo ha insegnato un caro amico. Un giorno lo conoscerai”.
Salirono in auto e percorsero la strada sconnessa fino ai bordi della città.
“Lo vedi quell’impianto là in fondo?”
“Sì. É macchina del fumo.”
“No, è molto peggio.”
“Cosa dobbiamo fare?”
“Entrarci.”
“É impossibile. So che è pattugliata dagli uomini del controllo del gioco.”
“Proprio per questo motivo ho portato queste” replicò mentre tirava fuori dalla borsa due tute.
“Indossiamole” continuò.
Fabio la vide togliersi la maglia e i pantaloni e rimase incantato dal suo seno e dal suo corpo. Se quello non fosse stato un gioco avrebbe provato quella sensazione per la quale sua madre lo sgridava sempre. In rete aveva letto che si trattava di erezione.
Indossarono le tute. Fabio non riusciva a mettere da parte l’immagine di lei in reggiseno e slip. Abbassò lo sguardo, cercando di nascondere la vampata che lo stava per travolgere.
“Non farlo mai.”
“Io…non…”
“Abbassare lo sguardo, Fabio. Non farlo mai. Ricordatelo. Di fronte a nessuno.”
Lui sorrise. Lei gli sorrise di rimando.
Proseguirono in auto fino al limite della recinzione. Simona condusse l’auto fino al cancello principale. Era aperto. La scritta indicava il nome dell’azienda, con rappresentato il logo riprodotto anche sulle tute. Dhk.
Lo stabilimento industriale sembrava abbandonato.
“Vedi anche tu le immagini leggermente distorte?” chiese Fabio a Simona.
“Sì. Dobbiamo fare presto”.
“Perché?”
“Sono interferenze”.
Avanzarono lentamente lungo il corridoio illuminato da poche lampade di emergenza sparse.
“Sento dei rumori”, affermò Fabio.
“Anche io. Provengono dall’esterno. Abbiamo pochi secondi.”
Raggiunsero la sala dei comandi, posta al primi piano del fabbricato. Simona si bloccò davanti all’immagine visualizzata sul monitor.
Qualche istante più tardi la vide anche Fabio. Simona vide la sua testa iniziare a ciondolare violentemente da una parte all’altra.
“Fabio, resta con me. Non è vero. Cercano di destabilizzarti”.
“Mamma.”
Simona cercò invano di farlo ragionare.
Sentiva i rumori esterni e le interferenze aumentare. Ormai li avevano trovati. Entro qualche minuto li avrebbero prelevati. Fabio non sarebbe più riuscito a comunicare se loro avessero distrutto la scatola nera. E lo avrebbero fatto presto. Pensò, mentre osservava sul monitor la mamma di Fabio piangere.
All’improvviso, all’interno del gioco si aprì una porta lampeggiante.
“Andiamo.”
“Cosa, cosa…”
“È una porta secondaria della rete.”
“Non posso. Io. Ho.”, replicò Fabio, continuando a ondeggiare la testa e fissando il vuoto.
Simona spinse con forza Fabio a oltrepassare la porta. In quell’istante la porta svanì nel nulla.
Aprì gli occhi ed era fuori dal gioco. Di fronte a lei gli occhi di ghiaccio di Sergej. Accanto a lei Fabio, privo di conoscenza.

#Labirinto
#Ep6

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Text by Daniele Mosca

L’avversario

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Corri.
Schiva l’avversario.
Sei tu, nel bene.
Nel male.
Scappa.
Quel brivido che senti,
non è il freddo.
È paura.
Non voltarti.
Potresti rivedere la tua immagine.
Nasconditi.
È sempre più vicino.
Ti somiglia.
Parla come te.
Ti consola.
Corri.
Lo specchio è deforme.
L’immagine, inganna.
Lui, l’avversario,
ti ha trovato.
Ora apri gli occhi.
Lentamente.
La luce è accecante.
Come il buio.
Come una lama di ghiaccio,
che ti taglierà.
Prima di sciogliersi.
Scappa, se vuoi.
Ma l’avversario,
sei tu.

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by Daniele Mosca

Una donna, lo sa

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Una donna, lo sa.
Dall’intensitá degli occhi.
Dal calore della pelle.
In equilibrio su un filo,
sulle parole che possono far male.
Sulle note che disarmano.
Dalle rughe sul viso,
i silenzi a naufragare in mare.
Conosce ogni cosa,
i riflessi di un futuro,
a specchiarsi nel passato.
Sente la primavera,
mentre fuori nevica.
Perché lo sa,
che presto arriverà.
Una donna, lo sa
che indossare un vestito nuovo,
é fasciare la pelle.
E nascondere le ferite.
Rinascere nel suo stesso sguardo.

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Text by Daniele Mosca

La poesia non vende

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La poesia non vende,
ma questa non è poesia.
É ruggine,
olio che galleggia sul mare.
La parola sbagliata,
quella che rompe la rima.
La strada ghiacciata,
nel buio acceso della notte.
É carta da parati,
a nascondere l’umido.
Il sorriso forzato,
di chi non si aspettava di vederti.
La parola gentile,
che cela una minaccia.
La menzogna sussurrata,
a chi si nutre di speranza.
La poesia non svende,
per questo non siete poeti.
Io sono un impostore,
uno spacciatore di parole.
Il mio incasso sono lacrime,
di chi ha bisogno di una lama,
per trafiggersi il petto.
E svelare il suo cuore,

per trovare ancora inchiostro.

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Text by Daniele Mosca

Un vero amico

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I riflettori sono spenti,
le sedie, in platea,
vuote.
Ogni sera salgo su questo palco,
lo scricchiolio del legno
mi fa sentire a casa.
Ma questa non è casa mia,
me lo dicono sempre.
Tu non sai recitare,
mi ripetono,
dai loro pomposi costumi di scena.
Io ci provo, a capire lo scherzo.
Ma non ci riesco,
il mio, è un compito difficile.
Non farli scivolare,
fare in modo che il legno sia lucente,
ma non troppo da abbagliarli.
Togliere la polvere,
perché non starnutiscano mentre recitano.
C’è stato un tempo,
in cui ero un attore.
Una giovane promessa,
uno, la cui parlantina incantava.
Ma le vie della vita,
spesso ingannano.
Ho perso quel dono,
ma quella malinconia,
che mi si avvolge al cuore,
quella no.
Tutte le volte che salgo su questo palco,
solo,
al buio,
senza riflettori puntati addosso,
io smetto di recitare.
Finalmente posso essere me stesso,
tornare a parlare.
Recitare il mondo che vorrei,
in cui non ci sono attori,
protagonisti o comparse,
maschere o inservienti.
Registi o spettatori.
E in cui io,
possa far riecheggiare il mio nome,
tra le pareti spoglie di questo teatro.
Senza sentirmi fuori posto,
mentre ogni sera salgo su questo palco.
E, come fossi a casa, lo saluto.
E lui mi risponde, da vero amico,
con lo scricchiolio del suo legno.

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Text by Daniele Mosca