La giusta distanza, il nuovo romanzo di Sara Rattaro

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“La giusta distanza” è il titolo di questo romanzo. E potrei anche chiudere qui il mio pensiero. Un concetto che in sé racchiude un intero mondo di sensazioni, emozioni, azioni, reazioni, amore, passione, crisi, tradimento, delusione, speranza, vita, morte, rinascita. E potrei andare avanti ancora, se Sara non avesse incasellato tutti questi tasselli in un puzzle perfetto. La storia di Aurora e Luca è così comune, da sentirla addosso, con le paure, le insicurezze, i sogni infranti, la stanchezza, ma anche la gioia e la consapevolezza, la forza di volontà necessaria per far vivere una storia. D’amore, ok, ma non è solo questo. Sara mette in scena il backstage dell’amore, quello che normalmente nessuno racconta, ma che lascia segregato in una lacrima che non può uscire, in una parola che non si può dire, in una ferita che si finisce per curare da soli, mentre nessuno vorrebbe che fosse così. Perché l’amore è anche impegno, rinunce, desideri che devono essere soffocati. Sara è una regina della scrittura e lo fa con maestria, la sua tecnica si è evoluta, ha sviluppato nel tempo livelli di coinvolgimento molto alti. Ma la sua caratteristica è sempre stata il coraggio, quello di mettere in scena, chissà, le sue paure, le sue delusioni, che poi sono quelle di tutti noi. Vorremmo averlo anche noi questo coraggio di raccontarle. Ma è per questo che nasce un libro, perché quelle emozioni possano essere condivise e vissute anche dai lettori. L’incipit di questo romanzo racconta di due sconosciuti che per la paura si stringono le mani, mentre l’aereo su cui si sono imbarcati sta precipitando, e con le loro rispettive vite, anche le storie che li hanno portati fin lì. “La giusta distanza”. E con questo concetto posso anche chiudere il mio pensiero, per il resto, leggetelo, io non saprei darvi descrizione migliore.

Il Pirata

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Oggi è San Valentino, un giorno importante per tanti motivi, ma a me piace ricordarlo anche perché è stato il giorno in cui un artista che ho amato molto è stato ritrovato morto in un’anonima stanza di albergo di Rimini. Sto parlando di Marco Pantani. Distrutto dalla stampa, dalla sfortuna, dai cattivi incontri, non è riuscito a vincere l’ultimo gran premio della montagna. Abbandonato da tutti è uscito di scena in silenzio, ma per molti di noi è ancora qui ed è ancora un esempio, nonostante chi cerca di screditare, puntare il dito, fare del male, a me piace ricordarlo con la sua bandana a sbaragliare e lasciarsi alle spalle gli avversari. La sua fragilità era anche la sua forza, non dimentichiamolo quando ci perdiamo e rimaniamo soli. Non dovremmo mai vergognarcene.

Quindici mesi

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Oggi compi quindici mesi. Un tempo che divide due vite che sembrano così diverse. Ora cammini da sola, ma si stringe il cuore quando mi prendi la mano e mi accompagni in giro per la casa. Quando ti stringi a noi. Ogni giorno è una scoperta e ogni giorno diventi più consapevole, sviluppi il tuo carattere. Così quando ti vediamo sfrecciare per casa con in mano qualsiasi cosa che ti abbiamo già detto mille volte di non prendere, ci guardiamo e sorridiamo. Perché quella testa dura l’abbiamo proprio fatta noi. E non poteva che essere così.
#quindicimesi

Tutto il mondo è qui

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Tutto il mondo è qui.
Chiuso in due cuori che battono,
mentre dormono ancora.
Fuori è l’alba.
Ma il freddo lo conosco già.
Sia quello fuori,
che quello dentro.
Non dire nulla,
è per quello che scrivo.
Ed è per questo che,
nonostante tutto,
io sorrido ancora.
Per quelle cicatrici che vedi,
ho sofferto,
quasi pianto,
a volte,
ma non è mai bastato,
perché smettessi di crederci.
E ora li sento da qui,
il battito dei due cuori che battono.
La mia famiglia.
Il mio cuore lo sa,
anche quando soffre.
Perché il mondo brucia.
Lo fa in silenzio, come me.

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Text by Daniele Mosca

Oggi compi 14 mesi

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Oggi la piccola compie 14 mesi. Il tempo è volato. Quando la guardiamo e scopriamo che diventa sempre più grande e consapevole di ciò che vuole ci guardiamo e in quello stesso attimo sospeso c’è tutto un mondo. Tutto quello che chi cresce un bambino raramente racconta. Quegli istanti in cui sembra tutto difficile, in cui la stanchezza affiora, in cui ci guarda allo specchio e ci si vede diversi, anche solo da pochi anni fa. Ma in quel momento sospeso c’è anche la felicità, la soddisfazione, il sentimento che si plasma su una forma che non comprende più solo due persone, ma tre. Come una coperta che si adatta perfettamente a tutti gli spigoli. Che difende dal vento, dal freddo che a volte riemerge da dentro. Crescere un figlio non è facile, perché mette di fronte alle nostre fragilità, alle paure. A ciò che non conosciamo, e tante volte riguarda proprio noi stessi. Ma quando lei ci guarda con quegli occhi sinceri e puliti vorremmo che conservasse per sempre quello sguardo, anche se sappiamo che non sarebbe la cosa migliore per lei, perché vivere non è un gioco. In quell’attimo sospeso ci sono tutte le parole che non si ha il coraggio di dire. Quell’amore che si nasconde nelle canzoni, nelle frasi scritte di nascosto su un muro. Quell’amore che lo sguardo di una creatura indifesa racconta meglio di ogni parola.

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Text by Daniele Mosca

Come nasce uno sguardo

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Ripensavo a quanto ho scritto ieri, al fatto che alcuni lo abbiano trovato triste. Io credo che anche l’amarezza vada raccontata, anche quando lo sguardo nasconde occhi che trattengono le lacrime. E lo si fa per un motivo. Raccontarla a se stessi. Ma a chi mi legge vorrei arrivasse un messaggio che cerco sempre di inserire tra le righe dei miei testi. Una partita si può perdere. Fa male. Fanno male gli slogan urlati dalla curva avversaria. Fa male uscire dal campo a testa bassa. Ma l’unica cosa da fare è tornare ad allenarsi. A migliorare il gioco della propria squadra. Continuare a provare le punizioni finché non spengono i riflettori del campo. I veri tifosi questo lo sentono. Tristezza, amarezza, paura, rabbia, sono sentimenti importanti che possono diventare una sola cosa: determinazione. Questo vale per tutto, un romanzo, un progetto, o qualsiasi altra partita ci sarà da giocare in futuro. Da bambino mio padre mi portava a vedere le partite del Bari. Ricordo ancora un partita giocata contro la Juventus, squadra per cui ai tempi tifavo, ricordo la determinazione di quella piccola squadra, i pochi tifosi del Bari che riuscivano a coprire con i loro cori quelli svogliati degli avversari più blasonati. Il Bari vinse. Ma il risultato conta poco. Quello che voglio dire è una partita si inizia a giocare molto prima di quando si entra in campo. Durante gli allenamenti, negli spogliatoi. Lo sguardo che indosserai nella prossima partita si costruisce anche attraverso i momenti di tristezza, amarezza, paura e rabbia.

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Text by Daniele Mosca