Questa stupida pagina bianca

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Credo di non aver mai avuto la sindrome da foglio bianco, perché, in fondo, le idee non mi sono mai mancate. Ma il tempo cambia le prospettive, le sfuma. Così ho iniziato a chiedermi se quelle idee fossero davvero così giuste. Ed é successo perché vedevo intorno a me una realtà distorta. Mi sono chiesto se fossi io a sbagliare, quando per la prima volta presi un quattro su un tema da otto. E soltanto perché certe cose, diceva la professoressa democristiana, non si potevano dire. Quando la suora diceva agli altri bambini di non parlarmi perché i miei genitori erano separati. Quando il genio di turno mi diceva che non sarei mai arrivato a fare quello in cui credevo e che nella vita é più importante compiacere chi conta che portare avanti le proprie idee. Con il tempo ho iniziato a lasciare sempre più spesso i fogli bianchi, a stare zitto, fino a quando ho iniziato a sentire dentro un profondo senso di vuoto. E mi sentivo sempre più colpevole. Perché quando silenzi un’idea, sei anche tu il carnefice. Perché se non ci credi tu, non ci crederà mai nessun altro al posto tuo. E proprio quando avevo dimenticato di saper scrivere, ritrovai quel vecchio tema delle superiori. C’era quella rabbia di chi non vuole arrendersi, di chi non vuole abbassarsi alla logica del “tanto é così che va” e che se ne fotteva se avesse preso quattro, raccontava le cose per come andavano dette. A quella parte di me devo una spiegazione a tutto questo, a questa stupida pagina bianca.

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Io l’amore l’ho cantato

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Io, l’amore,

 l’ho cantato.

Insultato, poi cantato ancora.

L’ho urlato,

scritto sui muri abbandonati.

Inghiottito come un sorso di pessimo vino.

Vomitato da un palcoscenico.

Per amore, mi hanno deriso.

Perché chi lo raccontava,

era un perdente.

Io l’amore,

l’ho temuto.

Cercato.

E ne sono sfuggito.

Rincorrendo qualcosa che non conoscevo.

O qualcosa che credevo di conoscere.

Mentre continuavo a sbagliare.

Io l’amore, l’ho trovato.

Per caso,

tra le pagine di un libro con le pagine bianche.

Perché ogni amore ha le sue regole,

le sue parole.

I suoi silenzi.

Io l’amore,

l’ho cantato.

E non me ne sono mai pentito.

Né mai me ne sono vergognato.

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Sul filo dell’acqua, il nuovo romanzo di Sara Rattaro

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Sul filo dell’acqua è un vortice. Un incastro perfetto di vite, istanti, pensieri, paure, fallimenti e rinascite. C’è tutto il mondo nelle parole che Sara Rattaro compone riuscendo a creare un meccanismo magistrale. I protagonisti sembrano rincorrersi, uniti, appunto, da un filo invisibile. Leggendo questa storia, mi è venuto in mente il brano di Marco Masini “Spostato di un secondo”, quell’attimo che può cambiare la vita di più persone. Tutto inizia con il salvataggio di una donna durante l’alluvione che sconvolse Genova, per poi intrecciare le vite degli altri protagonisti. Storie nelle storie, amori, tradimenti, amicizia, delusioni, sogni infranti, ma anche l’arte del rialzarsi, così come proprio Genova insegna. Come amori che sembrano galleggiare sul filo dell’acqua, un attimo prima pronti a nascere, un secondo dopo ad affogare e morire.

La mia non è poesia

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La mia non è poesia, né narrativa. Non è racconto, prosa, beata ignoranza di un menestrello. Non è alibi perfetto per chi spaccia rabbia. Anima astuta e veleno. Non è parola, né mestiere. Storia lasciata a macerare, perché l’emozione sopravviva. Non l’inganno che ti fa voltare pagina. L’incanto di una donna, che muore per sentirsi viva. Lo svelare l’arcano, il piano oscuro, dietro le quinte di un tradimento. Non è il rimpianto. Il mio è un travestimento, che mi arma da carnefice, con la favola candida di un bambino. La mia non è poesia, né la mia natura schiva. Ma sono io, immerso nelle mie sfumature d’avanspettacolo.

Quello specchio

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C’è chi cerca l’amore, nell’immagine riflessa nel proprio specchio. Chi ne raccoglie cicche, tra le foglie cadute dai rami delle proprie certezze. Chi si perde, nelle rughe impresse sul dipinto della propria identità. Rubando istanti, per non sentire alcun peso. Tanto meno della solitudine. C’è chi viaggia. Perché l’amore è anche questo. Chi sogna, scrive e ne racconta le ferite. C’è chi d’amore non sa parlare, ma dipinge, di bianco e di nero, fino a scoprire i colori. C’è chi non cerca più. Perché le parole non bastano mai. E non ne esiste definizione, se non in uno sguardo. Nulla sarà mai così semplice, nemmeno nella propria immagine riflessa. Se quello specchio, non siamo noi.

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Ripartono i cantieri dei romanzi

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Ripartiranno a breve i cantieri per due nuovi romanzi, la pausa è stata necessaria per rimettere a posto delle cose, non tanto sui testi, quanto dentro di me. Per molto tempo ho avuto difficoltà a scrivere, ho continuato a riproporre vecchi post, forse più per ricordarmi chi ero. Ma la verità è che molti di quei concetti non mi appartengono più e che faccio sempre più fatica a capire chi io sia adesso.
Credo che sarà molto difficile tornare a scrivere e superare quella strana sensazione di blocco, che ti porta a sentirti privo di qualcosa, ma che allo stesso tempo ti ustiona le mani, quando provi a toccarla. Forse questi cantieri non vedranno mai la fine, magari un giorno deciderò semplicemente di sbaraccare tutto. E in quel caso, lo farò senza far troppo rumore. In questa era in cui chiunque vomita qualcosa sui social, io proprio non ce la faccio a stare zitto. Anche se sempre più spesso vorrei saperlo fare.

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Venti anni dopo, #conoscereilterritorio

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Ultimamente, parlo spesso del progetto #conoscereilterritorio, ma vorrei raccontarvi di quando è davvero nato nella mia testa. Ai tempi stavo svolgendo il Servizio Civile, che allora era più vista come attività da “obiettore di coscienza”, all’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica. Proprio in quel periodo iniziai a scoprire l’esistenza del Gis, un sistema che univa le potenzialità del Cad a quelle della georeferenziazione del dato. In quel periodo stavo lavorando alla tesi, una caratterizzazione idrologica dell’Alta Valle Po. Proprio in quel periodo ho iniziato a utilizzare il Gis e il risultato fu che riuscii, grazie alla collaborazione dell’Irpi, ad allegare una planimetria Gis alla tesi e ad aggiungere i dati dei sopralluoghi che avevo fatto in valle. Dopo quell’esperienza è passato molto tempo prima che potessi avere ancora modo di utilizzarlo per lavoro, ma nel frattempo mi sono esercitato a casa, costrendo piccoli progetti che rimanevano nel cassetto.
Ma pian piano l’idea di unire il monitoraggio delle precipitazioni all’effetto al suolo iniziava a farsi strada, così come l’idea di poter comunicare in tempo reale su un sito la situazione. Nemmeno riesco a crederci che siano passati quasi venti anni.

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Siamo isole,
luci in fondo al mare.
Barche solitarie.

Ricordami i miei occhi,
che non ho il coraggio di guardarmi.
Lo specchio, mente.

Tutto sembra fermo.
Tutto sembra finto.
E la notte è troppo lunga.

Ricordami chi sei,
che in questa nebbia,
io non ti riconosco.

Questo silenzio finirà,
ma ci rimarrà addosso.
E ci ha già cambiati.

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Dove avevo gli occhi

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Dove avevo gli occhi,
al margine esterno della terra.
Dove il sale li brucia.
Il marchio a fuoco,
il gioco sbagliato.
Siamo esseri umani.
Demoni sporchi di santità.
Dei che non ce l’hanno fatta.
Dove avevo gli occhi,
cancellati dal tempo.
Battuto, perché diventasse musica
Sconosciuto, buttato.
Senza nome.
Chiudo la serranda del negozio,
per oggi ho sorriso troppo.
Cerco il mio volto,
tra le vetrine spente,
di una città pronta per l’inverno.
I poeti a quest’ora dormono.
Dove avevo gli occhi,
persi, disillusi, stanchi.
O semplicemente chiusi.

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Text by Daniele Mosca