La mia non è poesia

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La mia non è poesia, né narrativa. Non è racconto, prosa, beata ignoranza di un menestrello. Non è alibi perfetto per chi spaccia rabbia. Anima astuta e veleno. Non è parola, né mestiere. Storia lasciata a macerare, perché l’emozione sopravviva. Non l’inganno che ti fa voltare pagina. L’incanto di una donna, che muore per sentirsi viva. Lo svelare l’arcano, il piano oscuro, dietro le quinte di un tradimento. Non è il rimpianto. Il mio è un travestimento, che mi arma da carnefice, con la favola candida di un bambino. La mia non è poesia, né la mia natura schiva. Ma sono io, immerso nelle mie sfumature d’avanspettacolo.

Quello specchio

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C’è chi cerca l’amore, nell’immagine riflessa nel proprio specchio. Chi ne raccoglie cicche, tra le foglie cadute dai rami delle proprie certezze. Chi si perde, nelle rughe impresse sul dipinto della propria identità. Rubando istanti, per non sentire alcun peso. Tanto meno della solitudine. C’è chi viaggia. Perché l’amore è anche questo. Chi sogna, scrive e ne racconta le ferite. C’è chi d’amore non sa parlare, ma dipinge, di bianco e di nero, fino a scoprire i colori. C’è chi non cerca più. Perché le parole non bastano mai. E non ne esiste definizione, se non in uno sguardo. Nulla sarà mai così semplice, nemmeno nella propria immagine riflessa. Se quello specchio, non siamo noi.

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Ripartono i cantieri dei romanzi

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Ripartiranno a breve i cantieri per due nuovi romanzi, la pausa è stata necessaria per rimettere a posto delle cose, non tanto sui testi, quanto dentro di me. Per molto tempo ho avuto difficoltà a scrivere, ho continuato a riproporre vecchi post, forse più per ricordarmi chi ero. Ma la verità è che molti di quei concetti non mi appartengono più e che faccio sempre più fatica a capire chi io sia adesso.
Credo che sarà molto difficile tornare a scrivere e superare quella strana sensazione di blocco, che ti porta a sentirti privo di qualcosa, ma che allo stesso tempo ti ustiona le mani, quando provi a toccarla. Forse questi cantieri non vedranno mai la fine, magari un giorno deciderò semplicemente di sbaraccare tutto. E in quel caso, lo farò senza far troppo rumore. In questa era in cui chiunque vomita qualcosa sui social, io proprio non ce la faccio a stare zitto. Anche se sempre più spesso vorrei saperlo fare.

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Venti anni dopo, #conoscereilterritorio

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Ultimamente, parlo spesso del progetto #conoscereilterritorio, ma vorrei raccontarvi di quando è davvero nato nella mia testa. Ai tempi stavo svolgendo il Servizio Civile, che allora era più vista come attività da “obiettore di coscienza”, all’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica. Proprio in quel periodo iniziai a scoprire l’esistenza del Gis, un sistema che univa le potenzialità del Cad a quelle della georeferenziazione del dato. In quel periodo stavo lavorando alla tesi, una caratterizzazione idrologica dell’Alta Valle Po. Proprio in quel periodo ho iniziato a utilizzare il Gis e il risultato fu che riuscii, grazie alla collaborazione dell’Irpi, ad allegare una planimetria Gis alla tesi e ad aggiungere i dati dei sopralluoghi che avevo fatto in valle. Dopo quell’esperienza è passato molto tempo prima che potessi avere ancora modo di utilizzarlo per lavoro, ma nel frattempo mi sono esercitato a casa, costrendo piccoli progetti che rimanevano nel cassetto.
Ma pian piano l’idea di unire il monitoraggio delle precipitazioni all’effetto al suolo iniziava a farsi strada, così come l’idea di poter comunicare in tempo reale su un sito la situazione. Nemmeno riesco a crederci che siano passati quasi venti anni.

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Siamo isole,
luci in fondo al mare.
Barche solitarie.

Ricordami i miei occhi,
che non ho il coraggio di guardarmi.
Lo specchio, mente.

Tutto sembra fermo.
Tutto sembra finto.
E la notte è troppo lunga.

Ricordami chi sei,
che in questa nebbia,
io non ti riconosco.

Questo silenzio finirà,
ma ci rimarrà addosso.
E ci ha già cambiati.

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Dove avevo gli occhi

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Dove avevo gli occhi,
al margine esterno della terra.
Dove il sale li brucia.
Il marchio a fuoco,
il gioco sbagliato.
Siamo esseri umani.
Demoni sporchi di santità.
Dei che non ce l’hanno fatta.
Dove avevo gli occhi,
cancellati dal tempo.
Battuto, perché diventasse musica
Sconosciuto, buttato.
Senza nome.
Chiudo la serranda del negozio,
per oggi ho sorriso troppo.
Cerco il mio volto,
tra le vetrine spente,
di una città pronta per l’inverno.
I poeti a quest’ora dormono.
Dove avevo gli occhi,
persi, disillusi, stanchi.
O semplicemente chiusi.

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Text by Daniele Mosca

Il vecchio peschereccio

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Le onde sono più alte di questo vecchio peschereccio. Sembrano accanirsi sul legno umido e fragile. Gli scricchiolii sono più forti, anche del cuore che batte. Perché ha paura. Io raccolgo qualche immagine, pensando che questa possa essere l’ultima onda. Quella che porta via anche questo pensiero. Poi mi accorgo che arriva un’altra onda e un’altra ancora. E mi viene da pensare che il legno di questa barca abbia ancora molto da raccontare. Il motore ruggisce. Un po’ di luce all’orizzonte. Eppure, senza queste onde, senza questo sale nelle vene, gli scricchiolii del legno logoro, il filo di luce che improvvisamente comprare nell’oscurità, forse, il cuore non riuscirei a sentirlo battere. Senza il freddo di queste tempeste, non saprei cercare nei tuoi occhi il sapore dell’alba. Perdermi nelle sfumature di questo mare. Le onde sono svanite. Tutto sembra calmo, adesso. Il cuore batte, ancora. Forse mi stai aspettando, probabilmente no. E che importa, stanotte farà freddo. Ci sarà vento. Questo vecchio peschereccio ha bisogno del mare, come ne ho bisogno io.

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Scrivevo per legittima difesa

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Scrivevo per difendermi.
Come una spada, da difendere dalla ruggine.
Il tempo scandiva le sue frecce. E sentivo il freddo aprirsi un varco, tra la nebbia leggera di una stazione deserta. E tra le locandine sbiadite sui muri, cercavo il tuo nome.
Quante volte ho scelto di smettere di difendermi, ma le parole non volevano. E lo facevano al mio posto.
Quante volte ho sognato un mondo migliore, mentre mi sporcava. Lacerava i pensieri. Mi diceva che tutti prima o poi si arrendono.
Ho scritto sui muri, pagine sporche d’olio, il mondo che desideravo. E forse una piccola parte di me è rimasta. Nascosta proprio nei mondi che raccontavo.
Perché parlando del buio, si racconta quello che non riesci a vedere. E spesso sono proprio i sogni che difendiamo.
Quante volte sono rimasto in silenzio, con la paura che sarei riuscito più a costruire parole.
Che mi fossi arreso.
Ed era in quel momento che sentivo dissolversi la ruggine.