Ivanhoe, per gli amici Aiva, presenta il suo disco “Chiamatemi Aiva” in una doppia veste, street album e Studio version. Li differenziano la tipologia delle basi, più americane nel primo e più classiche nel secondo, ma i risultato è in entrambi i casi è una musicalità curata, un sound attraente e ottimamente costruito. Alcuni pezzi sono particolarmente commerciali, mentre altri ricalcano stili più cari all’hip hop da strada. I temi affrontati sono tanti, da quello della morte come nell’intensa “Esiste un posto”, a quelli più frivoli come in “Vip”. Ci sono anche canzoni in cui i protagonisti sono i sentimenti, ne sono un esempio “Principe de mio Barrio” e “Il nostro libro”, orecchiabili e incisive, anche grazie al ritornello cantato dalla voce femminile. “Ancora una volta” è un pezzo amaro, sofferto, e che si lascia ascoltare. Retrogusto difficile da capire, ma che fa riflettere. “Aiva” ricorda l’hip hop riportato in auge da Fibra, ricca di riferimenti ai rappresentanti hip hip più famosi.
“Hopeless” racconta speranze, amarezze, e la voglia di raggiungere i sogni, le proprie speranze. Flusso di pensieri difficili e voglia di reagire. Sogni. “Quando sto sul beat” è un pezzo che trascina, ballabile, anche grazie dalla base dance. Inizia con una citazione di una famosa canzone di Fabri Fibra “Un’altra strada” e come in quella canzone anche qui si racconta la difficoltà di trovare una via d’uscita con la musica, con la propria passione. “L’ultimo angelo” è un pezzo amaro, con una melodia soffice e dura allo stesso tempo. La vita è difficile, e questo traspira dai versi scritti da questo artista. Odio, strade abbandonate, poche chance da giocarsi, “Un salto nel vuoto” è questo, un affronto alla vita e alle sue difficoltà. Una guerra a suon di note. La chiave di questo album è nella canzone “Questa musica”, ed difficile da accettare. L’hip hop commerciale che si sente in radio ci ha ormai abituati a qualcosa di diverso, e spesso ci cado anche io nel pensare a quello come al rap. Ma la verità è che l’hip hop è la musica che nasce dalla vita di tutti i giorni, dalla voglia di affrontare i giorni tutti uguali, di combattere la rabbia che ci imprigiona. La musica deve essere questo, ed è ciò che Aiva racconta. Sound curato, basi a tratti commerciali, ma che arrivano dritte all’obbiettivo. Comunicare. C’è voglia di arrivare e lo si sente chiaro in “Io non ho” (presente solo nella versione street). Tra i rapper emergenti Aiva ha le carte in regola per arrivare, è orecchiabile e musicalmente capace, sa certamente raccontare la vita. Se fosse un cantautore non avrei difficoltà a definire le sue canzoni complete, ma Aiva è un rapper, e da lui ci si aspetta, oltre alle storie, anche quella dose di “cattiveria”, quella buona ovviamente, quell’essere politicamente scorretto che tanto attira in questo genere musicale e che potrebbe conquistare ancora più pubblico. Detto questo, l’album è bello e si fa ascoltare. La speranza è quella di risentire Aiva sugli stessi palchi di Emis Killa, Ensi. Aiva è decisamente più bravo di Fabri Fibra, quindi le citazioni non sono affatto necessarie. Aiva può trovare una sua identità e differenziarsi da tutti gli altri rapper della scena, deve solo tentare di “osare” un po’ di più e il gioco sarà fatto. Questo artista è umile e bravo. Lo vogliamo il migliore, quindi come tutti i migliori, solo un po’ più dannato.