L’uomo camminava a passo veloce. Si voltò e vide che la donna con lo sguardo cupo chiedeva qualcosa ai passanti, mostrando un oggetto. Accelerò il passo, muovendosi tra lo sciame di passanti di un sabato pomeriggio nel centro di Milano. Si scontrò con una ragazza e per un attimo perse l’equilibrio, nel suo sguardo cercò qualcosa che placasse la sua inquietudine, ma lei, indifferente, riprese a camminare. Raggiunse la piazza e rallentò. Guardò il Duomo, soffermandosi sulla madonnina – Perché? – sentì chiedere da una voce, dentro di lui. Con la coda dell’occhio vide la donna chiedere qualcosa alla ragazza che l’aveva urtato poco prima e voltarsi entrambe nella sua direzione. Si confuse nella folla e imboccò la via che costeggiava il Duomo. Vide il portico pieno di persone che gli sembrarono piene di vita. E si sentì vecchio, improvvisamente. Alla fine della via una musica, struggente, lo attirò. E si fermò ad ascoltare un uomo con un impermeabile logoro che suonava il violino. Sentì le lacrime scivolare sul viso. Ripensò a una sera lontana, a un camerino, al suono dei passi sul velluto del corridoio scuro e sul legno dei gradini. Poi la luce, accecante. Il palcoscenico. Socchiuse gli occhi, cercando nel buio, tra la gente che applaudiva, un volto, uno sguardo. Sentì quel calore unirsi al tocco delle sue dita che si muovevano con grazia sui tasti bianchi e neri di un pianoforte a coda. Le note, i silenzi. La passione. Una voce alle spalle lo fece trasalire. Si voltò e vide una donna che non conosceva, affannata, con in mano una fotografia che lo ritraeva. – Ma dove eri finito? – gli chiese. Un’eco lontano, e per un attimo l’uomo riconobbe lo sguardo che aveva cercato nel buio. Si guardò le mani, rugose e raggrinzite. Tremavano. Non riusciva a fermarle. In quel momento le odiò, le sue mani. Poi il ricordo svanì – Quante volte il dottore ti ha detto di non andare in giro da solo? – disse una voce ovattata, quasi a nascondere le note strazianti del suonatore di violino.