Parliamo del film Steve Jobs, una pellicola sicuramente particolare e molto attesa dal pubblico che maggiormente ha seguito le imprese di un personaggio importante del mondo della tecnologia moderna. Il film racconta tre momenti, gli attimi precedenti a tre delle presentazioni che con il senno di poi hanno fatto storia. Tanti dialoghi, tante discussioni concitate, pochi minuti che durano un’eternità. Un vortice di questioni che devono necessariamente concludersi in poco tempo ma che in realtà si trascinano in tutto il film. Un teatrino semi straziante tra il protagonista, la madre di sua figlia e, appunto, sua figlia. Rapporti conflittuali che non riescono a nascondere grandi forzature con la finalità di descrivere Jobs come un uomo che “tutto sommato” aveva un gran cuore. Molti sono i temi spietatamente informatici trattati un po’ maldestramente, comprensibili per chi li conosce, molto meno per chi non li tratta. Parlare di velocità di un processore si può fare, ma non in quel modo. Detto questo il film riesce a essere scorrevole, forse grazie al continuo ricorso al flashback. La trama però risulta troppo forzata e si da troppo per scontanto della vita di Jobs. Si parte dal presupposto che tutti già conoscano la sua storia, quella vera. Si tratta di un punto di vista, di una rotta che parte bene ma che poi si perde. Sicuramente il rapporto con la figlia rende la storia più gradevole, ma ci si continua a chiedere per tutto il film “ma sarà stato poi davvero così?”. E’ un film, d’accordo, ma che sembra troppo lontano dalla realtà. Il risultato è che il film non convince, pur guardandolo con l’occhi di chi l’informatica la conosce e che ha letto diverse biografie in merito. E ascoltando i pareri dei non addetti ai lavori, convince ancora meno la platea più ampia. Quindi il film sembra essere più un bell’esercizio di stile del regista Danny Boyle e dei due attori principali Michael Fassbender e Kate Winslet. Un film molto atteso, ma che si rivela deludente.